Solo se non è più rinvenibile l’accrescimento monetario derivante dal reato può scattare la confisca per equivalente quando normativamente prevista
È ormai decennale il dibattito dottrinale e giurisprudenziale concernente la confisca diretta del denaro, sostanzialmente fondato sulla particolare natura fungibile dello stesso, soprattutto con riferimento, da un lato, alla possibile ablazione delle masse monetarie diverse da quelle costituenti il prezzo o il profitto del reato contestato; dall’altro, in caso affermativo, alla distinzione tra la confisca diretta di denaro, appunto distinto da quello proveniente da reato, e la confisca per equivalente.
In questo contesto, con la sentenza n. 42415 depositata ieri, le Sezioni Unite della Cassazione hanno inteso risolvere la questione se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi come finalizzato alla confisca diretta del prezzo o profitto derivante dal reato, anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la prova della derivazione del denaro vincolato da un titolo lecito.
Il Supremo Consesso nel suo argomentare ha preso necessariamente le mosse dalle due sentenze “Gubert” (Cass. n. 10561/2014) e “Lucci” (Cass. n. 31617/2015).
Con la prima decisione, sul profitto del reato tributario, le Sezioni Unite avevano recepito una nozione di bene, funzionale alla confisca, capace di comprendere non solo quanto appreso per effetto diretto e immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa. Espressamente qualificato come risparmio di spesa il profitto del reato tributario, con la sentenza Gubert si riteneva configurabile la confisca diretta del denaro corrispondente all’imposta evasa, rimasto nel patrimonio della persona giuridica nel cui ambito il reato sia stato commesso, non potendo l’ente considerarsi, salvo il caso in cui costituisca un mero schermo della persona fisica, un terzo estraneo al reato.
La successiva sentenza Lucci si è posta sulla scia di tale orientamento, con l’ulteriore affermazione del principio per cui, qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, va qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto dell’ablazione e il reato. La somma di denaro provento di reato si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche del reo, perdendo qualsiasi connotato di autonomia quanto alla sua identificabilità fisica.
La successiva giurisprudenza di legittimità ha dato continuità a tali principi di diritto (Cass. n. 23393/2017), anche se talune decisioni, a fronte di fattispecie caratterizzate dalla particolarità del fatto concreto o dalla specifica natura dei reati contestati, hanno diversamente disposto; ad esempio, dichiarando l’illegittimità dell’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base a un titolo lecito, ovvero in relazione a un credito sorto dopo la commissione del reato, che non risultino allo stesso neppure indirettamente collegate (Cass. n. 6816/2019).
La sentenza qui in esame, a definizione del contrasto giurisprudenziale, si pone dichiaratamente in continuità con la sentenza Lucci, affermando il Supremo Consesso che, ai fini della confisca diretta del pretium delicti costituito da una somma di denaro, è indifferente l’identità fisica del numerario oggetto di ablazione rispetto a quello illecitamente conseguito. Infatti, il nesso eziologico di diretta provenienza tra il reato e il suo provento deve essere individuato in relazione alla peculiare natura del denaro, bene numerario fungibile, e alla disciplina giuridica sua propria. In altre parole, risulta normativamente indifferente l’individuazione materiale del relativo supporto nummario perché la natura e funzione del denaro rendono recessiva la sua fisicità, determinando la sua automatica confusione nell’ accresciuto patrimonio del reo.
Pertanto, per il Supremo Consesso, da un lato, non si dovrà ricercare lo stesso numerario – le medesime banconote – conseguito dall’autore come diretta derivazione del reato; dall’altro, nessuna rilevanza sarà attribuibile all’eventuale esistenza di altri attivi monetari confluiti nel patrimonio del reo, eventualmente anche di origine lecita. Solo nel caso in cui non sia più rinvenibile l’accrescimento monetario derivante dal reato perché il soggetto non dispone più di denaro, interverrà, qualora normativamente previsto, lo strumento surrogatorio della confisca per equivalente, su beni di diversa natura dello stesso.
Ne consegue il principio di diritto per cui “qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerario oggetto dell’ablazione”.