Non è possibile prendere in considerazione il bilancio d’esercizio chiuso successivamente

Di Maurizio MEOLI

Nelle società di persone, in caso di scioglimento del rapporto sociale relativamente a un socio, ai sensi dell’art. 2289 comma 2 c.c., questi ha diritto a una somma di denaro che rappresenti il valore della quota da liquidarsi in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui il rapporto cessa; non è possibile prescindere dal rispetto di tale criterio temporale, in favore di un preteso criterio del “giorno più prossimo” ovvero – come nella specie – di quello del più vicino bilancio d’esercizio, in ragione dell’assenza di documentazione in concreto idonea, dovendo in tal caso farsi ricorso a criteri sostitutivi, ancorché presuntivi.
A stabilirlo è la Cassazione, nell’ordinanza n. 22346/2021.

Nelle società di persone, ai sensi dell’art. 2289 c.c., quando “il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota. La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento”.
Nel caso di specie, il socio accomandante di una sas veniva escluso dalla società ad agosto 2002 e agiva in giudizio per ottenere la liquidazione della propria quota. Il competente Tribunale gli riconosceva un determinato importo fondato sul bilancio al 31 dicembre 2002, data di chiusura dell’esercizio sociale. Questa soluzione veniva contestata dall’accomandatario, dal momento che, secondo la normativa in materia, la liquidazione avrebbe dovuto essere operata con riferimento non già alla chiusura dell’esercizio, bensì al momento in cui lo scioglimento aveva avuto effetto. La Corte territoriale rigettava il ricorso rilevando non solo una incompletezza nella documentazione che la società aveva dedotto in giudizio e che aveva precluso la ricostruzione della situazione contabile e patrimoniale all’epoca dell’esclusione del socio, ma anche il fatto che sarebbe stato onere della società, e del socio accomandatario, dimostrare il pregiudizio derivante loro dalla erronea individuazione del tempo rispetto al quale effettuare la valutazione della quota.
Contro tale decisione l’accomandatario ricorreva in Cassazione.

I giudici di legittimità accolgono il ricorso e cassano la sentenza impugnata (con rinvio della controversia alla stessa Corte d’Appello, in diversa composizione).
Innanzitutto, si evidenzia come, per espresso dettato normativo, il diritto di credito del socio comunque “uscito” dalla società corrisponda al valore della quota in base alla situazione patrimoniale esistente al momento in cui il relativo rapporto viene a cessare (cfr. Cass. n. 5449/2015). Rispetto a ciò, nessuna rilevanza possono presentare le successive vicende societarie sul diritto così maturato e perfezionato. Sarebbe un controsenso, infatti, se il socio “uscito” dovesse in ipotesi sopportare le conseguenze, anche negative, di una gestione societaria alla quale è rimasto totalmente estraneo (cfr. Cass. n. 9397/2011).

È ritenuto, inoltre, impossibile superare il dato temporale normativamente fissato in ragione dell’ipotetica assenza di una documentazione nel concreto idonea. L’effettivo manifestarsi di una simile eventualità, infatti, dovrebbe essere affrontato con il ricorso a criteri sostitutivi, anche di carattere presuntivo (se opportunamente giustificati).
In altri termini, le carenze documentali non possono consentire uno spostamento nel tempo dell’efficacia della cessazione del rapporto sociale e/o di quello di determinazione del valore della quota del socio uscente, neppure facendosi riferimento al criterio del “giorno più prossimo”; tanto meno potrà essere utilizzato il mero riferimento al tempo del (più vicino) bilancio di esercizio.

Le eventuali carenze documentali, peraltro, potrebbero comportare un più gravoso impegno per l’elaborazione della consulenza tecnica o, anche, una più accentuata “elasticità” o “approssimazione” del risultato in tal modo raggiunto. Con la conseguenza che il consulente tecnico dovrà evidenziare il verificarsi di simili problematiche e puntualmente giustificare i mezzi adottati per risolverle.

Neppure può condividersi il rilievo secondo cui sarebbe stato onere della società e/o dell’accomandatario allegare e comprovare che l’utilizzo di un criterio temporale diverso da quello stabilito dalla norma avrebbe arrecato loro un pregiudizio.
Così ragionando, infatti, si farebbe diventare vicenda processuale ciò che, invece, si pone come requisito sostanziale della fattispecie.
In pratica, conclude la Suprema Corte, il punto non è se l’uso di un criterio temporale diverso da quello stabilito dalla legge comporti un aumento o una diminuzione del credito spettante all’ex socio per la liquidazione della quota o anche, nel caso, lasci inalterata la relativa somma, ma il fatto che, dal giorno stesso in cui si verifica lo scioglimento, l’ex socio non partecipa più all’impresa societaria e agli affari della stessa; con la conseguenza che lo stesso non ha più titolo né per lucrare guadagni, né per sopportare perdite.