Il contribuente deve appurare i requisiti di chi appone il visto

Di Alice BOANO

L’esimente di cui all’art. 6 comma 3 del DLgs. 472/97 non può essere applicata a sanzioni che sono una conseguenza di violazioni di natura formale quale è l’avvenuta presentazione di dichiarazioni munite di visto di conformità apposto da un soggetto non abilitato, dalle quali “a cascata” deriva l’indebita compensazione di crediti non spettanti.

Questo è il principio che si desume dalla pronuncia n. 30131 depositata ieri, 26 ottobre 2021 dalla Corte di Cassazione.
Il caso riguardava un contribuente che aveva effettuato compensazioni di crediti IVA muniti di visto di conformità ex art. 35 comma 1 lett. a) del DLgs. 241/97 rilasciato da soggetto non abilitato e per questo il contribuente stesso era stato destinatario di un atto di recupero degli interessi e di irrogazione di sanzioni ai sensi dell’art. 13 del DLgs. n. 471/97.

Il soggetto aveva confidato nell’operato del proprio consulente che da anni lo assisteva e aveva provveduto, una volta venuto a conoscenza della mancata abilitazione del professionista a svolgere le attività di apposizione del visto di conformità a denunciarlo per i reati di truffa e abusivo esercizio di professione.

Alla luce di tali circostanze la Commissione tributaria regionale lombarda aveva ritenuto sussistenti i presupposti dell’esimente cui all’art. 6 del DLgs. n. 472/97 il quale, al terzo comma, stabilisce: “Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi”.

La norma va necessariamente coordinata con il precedente articolo 5, la cui prima parte, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede quanto segue: “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

Secondo i giudici di legittimità l’art. 5, comma 1 riguarda, in generale, l’elemento soggettivo della condotta sanzionabile, che deve essere cosciente e volontaria, nonché colpevole, cioè posta in essere con dolo o, quanto meno, con negligenza.

La causa di non punibilità di cui all’art. 6, comma 3, presuppone l’elemento soggettivo così come individuato dall’art. 5, comma 1, e delimita la condotta sanzionabile in conseguenza della violazione di obblighi tributari non formali quali l’omesso versamento del tributo, sanzione che non era stata applicata nella specie (presumibilmente, era stata sì irrogata la sanzione da omesso versamento, in quanto ad esso si equiparava la indebita compensazione, disciplinata dal punto di vista sanzionatorio solo dal 2015 per effetto del DLgs. 158/2015).

Tale rapporto fra le due norme, descritto dalla giurisprudenza della stessa Corte (Cass. 7 novembre 2018 n. 28359 e Cass. 24 ottobre 2019 n. 27273) fa sì che l’esimente si applichi limitatamente all’inadempimento degli obblighi riconnessi al mancato pagamento del tributo, rimanendo pertanto esclusi gli obblighi solo formali.

I giudici di appello avevano invece fatto malgoverno dei richiamati principi applicando l’art. 6, per quanto è dato comprendere dal testo della sentenza, all’indebita compensazione derivante dal visto irregolare.
In sostanza il contribuente avrebbe dovuto vigilare ed appurare il possesso dei requisiti per il visto di conformità in capo al proprio consulente fiscale.