È considerato elusivo individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso della certificazione verde COVID-19

Di Elisa TOMBARI

Come previsto dal nuovo art. 9-septies del DL 52/2021, introdotto con l’entrata in vigore del DL 127/2021, dal 15 ottobre e fino a fine anno, per tutti i lavoratori del settore pubblico e privato sarà obbligatorio essere in possesso della certificazione verde COVID-19 (c.d. “green pass”) ai fini dell’accesso sul luogo di lavoro. La certificazione verde, lo si ricorda, si ottiene con l’avvenuta vaccinazione anti COVID-19, l’avvenuta guarigione dalla malattia nei sei mesi precedenti o con l’effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare, con validità, rispettivamente, di 48 e 72 ore.

L’obbligo interessa i soli lavoratori che prestano la propria attività lavorativa in presenza, posto che, come ribadito anche dal Governo con alcune FAQ, la norma impone il possesso del green pass per l’“accesso ai luoghi di lavoro”, così escludendo dal campo di applicazione i lavoratori in smart working (si veda “Il green pass non elimina l’obbligo di distanziamento in azienda” del 28 settembre 2021).

Oltre al dato letterale, se la ratio dell’obbligo in questione è quella di prevenire la diffusione dell’infezione da COVID-19 (comma 1) è chiaro che il lavoro agile non comporta alcun rischio di contagio da prevenire, proprio perché il lavoratore rimane all’esterno dei locali aziendali. Del resto, lo stesso INPS ammette il ricorso allo smart working anche per i soggetti positivi al coronavirus durante la quarantena, affermando che non è possibile ricorrere alla tutela previdenziale della malattia o della degenza ospedaliera nei casi in cui il lavoratore in quarantena o in sorveglianza precauzionale perché soggetto fragile continui a svolgere, sulla base degli accordi con il proprio datore di lavoro, l’attività lavorativa presso il proprio domicilio (si rinvia al messaggio INPS n. 3653/2020; si veda inoltre “In smart working quarantena «tutelata» solo se la malattia è conclamata” del 10 ottobre 2020).

L’“esenzione” dall’obbligo di green pass per il lavoratore in smart working potrebbe portare ad un ricorso massiccio al lavoro agile come compromesso per mantenere impiegati lavoratori privi di green pass che, altrimenti, sarebbero assenti ingiustificati con sospensione della retribuzione; in proposito, con una delle sue FAQ il Governo ha chiarito che lo smart working non può essere utilizzato come strumento per eludere l’obbligo di green pass, anche se non precisa in che termini tale condotta potrebbe essere sanzionata.

Sotto questo profilo, l’elusione di tale obbligo sembrerebbe configurarsi ogniqualvolta, a partire dal 15 ottobre, un datore di lavoro pattuisca con il lavoratore privo di green pass di sostituire l’attività in presenza con il lavoro da casa. Questa lettura sembrerebbe poi confermata dalle linee guida per la Pubblica Amministrazione firmate lo scorso 12 ottobre, secondo cui “non è consentito in alcun modo, in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratore da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazioni” (si rinvia a “Firmato il DPCM sul controllo del green pass nei luoghi di lavoro” del 13 ottobre 2021).

Stante tale posizione espressa dal Governo, occorre tuttavia ricordare che, in virtù della libertà di organizzazione imprenditoriale, l’imprenditore può scegliere di organizzare la propria attività lavorativa come meglio ritiene. In quest’ottica, laddove utilizzabile, lo strumento dello smart working si sarebbe potuto rivelare utile per scongiurare blocchi dell’attività in realtà aziendali caratterizzate dalla presenza di numerosi lavoratori privi di green pass.