Le sanzioni possono essere percentuali ma non arrivare al 100% di quanto pagato
La Corte di Giustizia Ue, nella sentenza relativa alla causa n. C-544/19, depositata ieri, ha precisato che una normativa di uno Stato membro che, per il pagamento nel territorio nazionale di un importo pari o superiore a una soglia prefissata, vieti alle persone fisiche e giuridiche di ricorrere a contanti e imponga loro di effettuare un bonifico bancario o un versamento su un conto di pagamento, anche nel caso in cui si tratti della distribuzione di dividendi di una società, non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2015/849/Ue, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.
Tale precisazione attiene ad una legge bulgara che vieta a chiunque (persone fisiche e giuridiche) di effettuare, nel territorio nazionale, un pagamento in contanti allorché il relativo importo sia pari o superiore a 10.000 leva (pari a circa 5.110 euro), richiedendo a detti soggetti di ricorrere, a tal fine, ad altri mezzi di pagamento, pena l’irrogazione di una sanzione percentuale variabile tra il 25 ed il 50% dell’importo pagato (a seconda che si tratti di persone fisiche o giuridiche), elevabili, rispettivamente, al 50 ed al 100% in caso di reiterazione.
Ai fini della conclusione enunciata rileva, in primo luogo, lo scopo perseguito dalla direttiva 2015/849/Ue, di evitare che flussi di denaro illecito possano minare l’integrità, la stabilità e la reputazione del settore finanziario dell’Unione e costituire una minaccia per il suo mercato interno nonché per lo sviluppo internazionale, e non di contrastare evasione ed elusione fiscali, proprio della disciplina bulgara.
Dal punto di vista sistematico, poi, la direttiva 2015/849/Ue stabilisce misure che differiscono da quelle istituite dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non solo per i relativi destinatari (individuabili in base al relativo grado di esposizione al rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo oppure al grado di vulnerabilità delle loro operazioni o della loro attività finanziaria), ma anche per la natura delle misure richieste. I soggetti che rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva, infatti, devono osservare, in ragione della loro partecipazione all’esecuzione di un’operazione o di un’attività di natura finanziaria, un certo numero di obblighi tesi a identificare e verificare l’identità del cliente e del beneficiario effettivo, ad ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto d’affari ed a segnalare alle autorità competenti qualsiasi indizio di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo.
La direttiva 2015/849/Ue, ancora, non contiene alcuna disposizione che limiti l’importo dei pagamenti che possono essere effettuati in contanti né impone agli Stati membri di prescrivere limitazioni del genere. Per cui, pur essendo vero che gli Stati membri possono adottare o mantenere disposizioni più rigorose per impedire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, occorre considerare che non è questo l’obiettivo della normativa di cui trattasi nel procedimento principale, le cui misure, pertanto, non costituiscono recepimento della direttiva in parola.
Peraltro, in ragione dei fatti oggetto del procedimento principale, si osserva anche come l’ambito di applicazione della direttiva 2015/849/Ue comprenda soltanto i pagamenti effettuati per cessioni di beni, senza riguardare i rapporti tra una società e i suoi azionisti.
La ricordata disciplina concretizza, comunque, una restrizione alla libera circolazione dei capitali, dissuadendo investitori stranieri non residenti dall’acquistare una partecipazione nel capitale di una società stabilita in uno Stato recante tale previsione. Restrizione possibile solo se, da un lato, giustificata da una delle ragioni menzionate all’art. 65 del TFUE o da motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte di Giustizia, come la lotta contro elusione ed evasione fiscali, e, dall’altro, idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo senza eccedere quanto necessario per conseguirlo.
A fronte di ciò, è stabilito che l’art. 63 del TFUE, in combinato disposto con l’art. 49 § 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa di uno Stato membro come quella ricordata che, al fine di contrastare l’elusione e l’evasione fiscali, per rispondere a una violazione al prescritto divieto di pagamento in contanti oltre una certa soglia preveda un regime sanzionatorio nell’ambito del quale l’importo dell’ammenda che può essere inflitta sia calcolato sulla base di una percentuale fissa applicabile all’importo totale del pagamento effettuato in violazione del divieto, senza che detta ammenda possa essere modulata in funzione delle circostanze concrete del caso di specie.
Ciò, come detto, a condizione che tale normativa sia idonea a garantire l’obiettivo del contrasto ad evasione ed elusione fiscali e non ecceda quanto necessario per conseguirlo. Circostanze entrambe ravvisate nella disciplina esaminata, recante limiti reputati non eccessivi (non incidendo su acquisti ed operazioni quotidiane) e sanzioni in linea di principio proporzionate, ad eccezione dell’ipotesi in cui, in concreto, la sanzione dovesse arrivare al 100% dell’importo del pagamento effettuato.