Il momento di esigibilità del compenso per la prestazione svolta dall’agente è irrilevante

Di Silvia LATORRACA

Con la sentenza n. 25805, depositata ieri, 23 settembre 2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al periodo di imposta in cui le provvigioni attive concorrono a formare il reddito d’impresa, confermando, in riferimento alle micro imprese, l’orientamento espresso sul punto dall’Amministrazione finanziaria.

Nel caso di specie, la contribuente aveva svolto attività di agente assicurativo fino al 1992. Nel 2002 (periodo d’imposta in cui non trovava ancora applicazione il principio di derivazione rafforzata), la contribuente aveva percepito proventi a titolo di provvigioni per effetto di un atto di transazione sottoscritto con la compagnia assicurativa.

In via preliminare, la Suprema Corte ha ricordato che le provvigioni attive spettanti all’agente si qualificano come redditi di impresa, a prescindere dal fatto che l’attività sia svolta in forma organizzata o meno.
Infatti, l’art. 55 del TUIR stabilisce che “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c.”, tra cui rientrano quelle ausiliarie alla circolazione di beni e servizi, come appunto l’attività delle agenzie di assicurazione.

Tanto premesso, posto che le provvigioni maturate dall’agente appartengono alla categoria dei proventi derivanti dall’espletamento di prestazioni di servizi, per l’individuazione del relativo periodo di competenza occorre avere riguardo all’art. 109 comma 2 lett. b) del TUIR, secondo cui “i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti … alla data in cui le prestazioni sono ultimate”.

La verifica del momento di ultimazione non può prescindere dalla disciplina codicistica del contratto di agenzia, che è stata oggetto di significative modifiche ad opera del DLgs. 65/99, emanato in attuazione della direttiva 86/653/Ce.
Nella versione antecedente al richiamato intervento legislativo, l’art. 1748 comma 1 c.c. disponeva che “l’agente ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione”. Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria, nella risoluzione n. 9/934/1980, aveva identificato tale “regolare esecuzione” nel momento in cui “aveva luogo la fornitura che ne costituiva la prestazione, a nulla rilevando l’aspetto finanziario che regola la controprestazione del cliente”.

Per effetto delle modifiche operate dal citato decreto, si è individuato il momento di ultimazione della prestazione e, di conseguenza, il concorso del relativo compenso alla formazione dell’imponibile dell’agente nella data in cui si verifica la stipula del contratto concluso grazie all’intervento di quest’ultimo.

In altri termini, la prestazione si considera ultimata alla data in cui è concluso il contratto tra il preponente ed il terzo, atteso che in questo momento deve ritenersi conclusa la prestazione da parte dell’agente, posto che quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1742 c.c., ha l’obbligo di “promuovere … la conclusione di contratti”.
In tale momento, inoltre, la provvigione soddisfa anche i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità richiesti dall’art. 109 del TUIR ai fini dell’imputazione a reddito dei componenti positivi e negativi.

L’art. 1748 comma 1 c.c., nella sua nuova formulazione, prevede, infatti, che l’agente ha diritto alla provvigione “per tutti gli affari conclusi durante il contratto … quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento”, il che rende irrilevante il momento di esigibilità del compenso per la prestazione svolta dall’agente, eventualmente previsto in contratto, ai sensi dell’art. 1748 comma 4 c.c., trattandosi di previsione che ha il solo scopo di dilazionare il pagamento della provvigione maturata.

La Suprema Corte ha, quindi, confermato l’orientamento espresso sul punto dalla ris. Agenzia delle Entrate n. 115/2005, citato nella stessa sentenza.
A ben vedere, secondo una parte della dottrina (e una isolata sentenza di merito; cfr. C.T. Reg. Firenze n. 6/31/2010), invece, laddove il contratto di agenzia individui un momento di spettanza delle provvigioni successivo alla conclusione del contratto tra preponente e terzo, è in tale momento che l’agente deve assoggettare a tassazione le provvigioni.

In altri termini, solo al momento in cui il contratto di agenzia assegna all’intermediario il diritto a ricevere il compenso, questo si dovrebbe considerare certo e oggettivamente determinabile.
Come anticipato, la sentenza di ieri si è pronunciata in riferimento alla disciplina fiscale vigente prima delle modifiche apportate all’art. 83 del TUIR dal DL 244/2016 (conv. L. 19/2017). La stessa assume rilievo, quindi, a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, soltanto in riferimento alle micro imprese.
Per i soggetti in riferimento ai quali trova applicazione il principio di derivazione rafforzata, invece, ai fini dell’imputazione temporale assume rilievo, sotto il profilo fiscale, il comportamento contabile adottato.