Rileva come colpa nella conoscenza e come colpa nell’omessa attivazione

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 24045/2021, oltre ad offrire importanti precisazioni in ordine all’atteggiarsi della responsabilità solidale dei sindaci rispetto a condotte illecite degli amministratori (si veda “Sindaci non responsabili per i danni avvenuti dopo la cessazione dalle funzioni” del 7 settembre 2021), ha fornito anche indicazioni in tema di responsabilità “concorrente” dei sindaci sulle quali appare opportuno soffermarsi.

In primo luogo, la decisione in commento analizza le modalità di verifica del nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei sindaci e il danno cagionato dall’atto di mala gestio degli amministratori (nel senso di poter ragionevolmente presumersi che, senza il primo, il secondo non si sarebbe prodotto o si sarebbe verificato in termini attenuati) a fronte di soggetti (i sindaci) privi di un potere di veto sull’attività degli amministratori o di poteri sostitutivi rispetto alla loro inerzia o inadempienza (salvo talune funzioni vicarie esaminate dalla norma di comportamento CNDCEC n. 9.1).

Si precisa, quindi, come sia necessario che il giudice, di volta in volta, accerti che i sindaci, riscontrata l’illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna alla società, che la legge implicitamente o esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto.

Si ricorda pure come a volte si sia affermato (cfr. Cass. n. 2538/2005) che la prestazione richiesta ai sindaci è connotata da un così elevato grado di “discrezionalità tecnica” da farla rientrare nelle cosiddette “obbligazioni di diligenza”; ovvero quelle obbligazioni nelle quali la strumentalità della prestazione rispetto ad un certo risultato fa sì che il criterio della diligenza a tal fine occorrente serva a determinare l’area del comportamento dovuto anche sotto il profilo oggettivo. Peraltro, poiché non può negarsi che l’attività svolta dai sindaci di società abbia carattere professionale, se ne è comunque dedotto che la diligenza necessaria, come richiesto dall’art. 1176 comma 2 c.c., sia quella correlata alla natura dell’attività da loro esercitata; evidenziandosi, altresì, come la natura di tale attività ed il grado di diligenza ad essa inerente debba essere valutata anche in rapporto alle specifiche caratteristiche dell’attività dell’impresa e dell’oggetto sociale che l’esprime.

In relazione al profilo dell’elemento soggettivo, poi, si osserva come l’elemento della colpa rilevi nella duplice accezione di colpa “nella conoscenza” e di colpa “nell’omessa attivazione”. Sono due, infatti, i momenti complementari: da un lato, la rappresentazione dell’evento nella sua portata illecita (conoscenza che prescinde da modalità e tipologia del canale conoscitivo); dall’altro, la consapevolezza nel mantenere la condotta inerte, senza porre in essere quelle azioni idonee ad impedirne la prosecuzione, la reiterazione o l’aggravamento, a fronte della possibilità di attivarsi utilmente.

Sotto il primo aspetto, la colpa può consistere in un difetto di conoscenza per non avere il sindaco rilevato colposamente l’altrui illecita gestione. Non è, però, affatto decisivo che nulla traspaia da formali relazioni degli amministratori, perché l’obbligo di vigilanza impone la ricerca di adeguate informazioni; in particolare da parte dei componenti dell’organo sindacale, la cui stessa ragion d’essere è ravvisabile nel provvedere al controllo sulla gestione. Per cui sussiste la colpa in capo al sindaco per non avere rilevato i c.d. segnali d’allarme (quale la soggezione della società ad una gestione personalistica).

Sotto il secondo profilo (omessa attivazione), invece, si osserva come mentre il disinteresse, in genere, sia indice di colpa, l’inerzia, a fronte dell’illecito altrui, è in sé colpevole.
Rispetto a ciò, l’essere stato designato solo dopo la commissione di atti illeciti non è, di per sé, circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità qualora, accettato l’incarico, fosse da esso esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio; per cui l’attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe consentito di scoprire tali atti illeciti e di reagire ad essi, evitando ulteriori danni.

Le dimissioni, inoltre, non costituiscono mai condotta di adempimento del dovere, né comportamento sufficiente ad esimere da responsabilità, quando a ciò non si accompagnino anche concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti. Senza tali atti, infatti, le dimissioni finiscono per equivalere ad una sostanziale inerzia, divenendo esemplari di una condotta colposa e “pilatesca” del sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalità reiterata.

Né – conclude la Suprema Corte – può valere ad escludere responsabilità la decadenza sanzionatoria di cui all’art. 2404 comma 2 c.c. Questa, infatti, concepita per sancire la cessazione del diritto alla retribuzione, non può produrre – fino all’assunzione della funzione da parte di colui che sia stato chiamato alla sua sostituzione – l’effetto virtuoso, per il sindaco ipoteticamente venuto meno ai suoi doveri, di escludere la sua responsabilità.