La giurisprudenza di legittimità consolida i propri principi sulla misura cautelare nei casi di frodi carosello

Di Maria Francesca ARTUSI

Un caso di “frode carosello” legata all’acquisto di autovetture tramite l’interposizione di ditte estere intracomunitarie ha fornito l’occasione alla Cassazione per tornare sulla nozione di profitto della confisca nei reati tributari.

Si tratta delle motivazioni della sentenza n. 33813, depositate ieri, in cui si conferma il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente dei beni dell’amministratore di fatto e di altri soggetti in relazione ai reati di omessa dichiarazione (art. 5 del DLgs. 74/2000) e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del DLgs. 74/2000).

I giudici di legittimità si rifanno all’elaborazione delle Sezioni Unite n. 31617/2015 – che supera in parte la nota sentenza Gubert, sempre a Sezioni Unite, n. 10561/2014 – precisando che il profitto del reato, nella nozione rilevante ai fini della confisca diretta, deve essere “inteso come vantaggio economico ottenuto in via diretta ed immediata dalla commissione del reato, e quindi legato da un rapporto di pertinenzialità diretta con l’illecito penale”.

Quando il prezzo o il profitto del reato è costituito da denaro, le somme depositate su conti correnti bancari, di cui il soggetto abbia la disponibilità, sono qualificabili come prezzo o profitto del reato, ed assoggettabili a confisca diretta, in considerazione della natura del bene, senza alcuna necessità della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (si veda in questo senso anche la pronuncia delle Sezioni Unite all’udienza del 27 maggio scorso le cui motivazioni non sono ancora state depositate).

Da ciò derivano le seguenti conclusioni su quale debba essere il contenuto dell’onere della prova che grava sul Pubblico Ministero quale richiedente della misura cautelare.
Innanzitutto, l’onere della prova in questione ha ad oggetto l’impossibilità di individuare l’esistenza di beni assoggettabili a confisca diretta, vale a dire delle cose materialmente identificate come prezzo o profitto del reato, oppure, quando il prezzo o profitto del reato sia costituito da denaro, di tutte le somme di cui il soggetto avvantaggiato dall’illecito abbia la disponibilità, oppure ancora di quanto acquisito con l’immediato reimpiego dei proventi del reato da parte di chi ha commesso l’illecito.

In secondo luogo, non si esige una ricerca generalizzata ed approfondita dei beni appartenenti alle categorie precedentemente indicate, ma si richiede una valutazione allo stato degli atti ai fini della loro individuazione.
In terzo luogo, il soggetto nei cui confronti è disposto il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, nelle proprie contestazioni, deve o evidenziare errori compiuti dal giudice nell’attività di apprezzamento del compendio investigativo esistente o fornire nuove e specifiche indicazioni relative ai beni assoggettabili a confisca diretta.

Ne discende che, quando la persona giuridica avvantaggiata dal reato abbia la disponibilità di beni diversi dal denaro, l’impossibilità di un’utile esecuzione del sequestro funzionale alla confisca diretta sarà da escludere solo se emerge che detti beni siano materialmente identificabili come prezzo o profitto del reato, ovvero siano stati acquistati con l’immediato reimpiego dei proventi del reato da parte di chi ha commesso l’illecito, oppure se l’interessato fornisca specifiche indicazioni in proposito.

Per quanto attiene alla nozione di “amministratore di fatto”, anche qui la Cassazione sintetizza gli approdi giurisprudenziali consolidati, precisando che quando si tratta – come nel caso in esame – di una società “schermo”, priva di una reale autonomia e costituita per essere utilizzata in un meccanismo fraudolento, un ruolo centrale è svolto dall’assunzione di una significativa e continua attività gestoria e del ruolo di “dominus” ed ideatore del suddetto sistema fraudolento, non essendo ipotizzabile l’accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico (come quelli attinenti ai rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale) all’interno di un ente esistente solo da un punto di vista giuridico (Cass. n. 42147/2019).

Infine, le motivazioni si soffermano sulla interposizione fittizia che dà origine al reato di dichiarazione fraudolenta. In proposito, si ricorda che la falsità delle fatture può essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione, intendendosi per “soggetti diversi da quelli effettivi”, ai sensi dell’art. 1 lett. a) del DLgs. 74/2000, coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale; circostanza tipica delle frodi carosello.