Il sequestro penale può convivere con le procedure concorsuali
I provvedimenti di sequestro o confisca conseguenti ad un procedimento penale si pongono spesso in contrapposizione con altri interessi. Si pensi al caso della procedura amministrativa di riscossione del credito erariale ovvero delle procedure concorsuali, su cui si sofferma la Cassazione nella sentenza n. 26874 depositata ieri, ben sintetizzando nelle motivazioni alcuni punti chiave nelle ipotesi di contestazione di un reato tributario.
Innanzitutto, viene ricordato come, secondo gli insegnamenti della recente giurisprudenza, i rapporti tra lo strumento penale della confisca e la procedura amministrativa di riscossione del credito erariale, nell’ambito dei reati tributari, sono improntati ad una sostanziale e funzionale diversità. Da un lato, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ha per oggetto il profitto del reato tributario, che è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, e non può avere ad oggetto le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione. Al contrario, la procedura di riscossione del credito erariale, vantato dall’Agenzia delle Entrate, avente natura amministrativa, è diretta al recupero delle somme evase, degli interessi e delle sanzioni, dovuti in seguito all’accertamento del debito tributario (Cass. n. 28047/2017).
Da ciò deriva che il sequestro in parola, corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, può essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l’indebito arricchimento derivante dall’azione illecita, che cessa con l’adempimento dell’obbligazione tributaria: il mantenimento della misura ablativa è giustificato, cioè, fino al momento in cui si realizza il recupero delle imposte evase a favore dell’Amministrazione finanziaria con corrispondente “deminutio” del patrimonio personale del contribuente, momento superato il quale non ha più ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo (Cass. n. 43811/2014 e Cass. n. 46726/2012). Ciò in quanto la confisca, disposta in relazione ai reati tributari, non può riguardare somme superiori all’effettivo profitto conseguito né può risolversi in un ingiustificato arricchimento per lo Stato, qualora siano recuperate dal Fisco parte delle somme dovute – a seguito, per esempio, delle cessioni di ramo d’azienda o dei versamenti effettuati dall’imputato – le quali dovranno necessariamente essere decurtate dal valore del patrimonio sottratto (Cass. n. 6635/2014).
Qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non potrà essere mantenuto il sequestro sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma questo dovrà essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione. Altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Cass. n. 20887/2015).
Per quanto, invece, attiene alle procedure concorsuali, il sequestro penale può convivere con le stesse, essendo affidato al potere discrezionale del giudice la conciliazione dei contrapposti interessi, ovvero di quelli propri della tutela penale (impedire che i proventi di illecito possano giovare all’indagato) e di quelli tipici della procedura concorsuale (tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare).
In altre parole, il sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall’art. 12-bis del DLgs. 74/2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto dell’apertura della procedura concorsuale, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro. Il rapporto tra il vincolo imposto dall’apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro, avente ad oggetto un bene di cui sia obbligatoria la confisca, deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull’interesse dei creditori l’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente “pericoloso”, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato.
Non può dunque affermarsi – secondo la pronuncia in commento – che l’insinuazione dell’Agenzia delle Entrate nel passivo fallimentare integri l’ipotesi contemplata dall’art. 12-bis del DLgs. 74/2000, atteso che il disposto, secondo cui “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario”, va letto in combinato con quello secondo cui “nel caso di mancato pagamento la confisca è sempre disposta”. Ne consegue che solo il pagamento effettivo dell’imposta evasa potrà evitare la confisca; e che, sino a quando non vi sia l’integrale pagamento del credito tributario, il vincolo ablativo sui beni del contribuente debitore ha ragione di permanere.