Sequestrabili anche le somme depositate su un conto che viene alimentato dall’impiego di beni dell’impresa inquinata in radice dai vantaggi illeciti
Possono essere oggetto del sequestro c.d. di prevenzione tutti i beni dei quali il soggetto sospettato di attività illecite risulta poter disporre direttamente o indirettamente, quando, “sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che essi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego”.
Così è stabilito dall’art. 20 del DLgs. 159/2011 che, al comma 1, determina i presupposti per l’applicazione di tale vincolo finalizzato alla successiva confisca. La disposizione è finalizzata a contrastare il fenomeno dell’accumulazione di patrimoni illegali colpendo non solamente i beni che abbiano un rapporto di diretta derivazione dalle attività delittuose, ma anche quei beni che – formalmente acquisiti in maniera lecita – possano considerarsi pertinenziali al patrimonio illecito perché risultato del reimpiego di beni acquistati con l’immissione di capitali illeciti. Nella medesima ottica, lo stesso comma 1 del citato art. 20, nella sua parte finale, stabilisce che il tribunale, quando dispone il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie, ordina il sequestro dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli artt. 2555 e seguenti c.c.; e tale sequestro si estende di diritto a tutti i beni costituiti in azienda, compresi i conti correnti (di cui va fatta specifica indicazione nel provvedimento del giudice).
Con la sentenza n. 26755 depositata ieri, la Corte di Cassazione fa applicazione di tale normativa in un caso in cui era stato disposto il sequestro ai fini di confisca dell’intero capitale sociale e di tutti i beni del relativo compendio aziendale, compresi i depositi e i saldi attivi, di una società cooperativa a responsabilità limitata, già dichiarata fallita.
La curatela fallimentare aveva domandato il dissequestro e la restituzione in suo favore di tali beni, ma sia i giudici di merito sia quelli di legittimità respingono questa istanza. Viene in proposito evidenziato come le somme di denaro depositate sul conto corrente bancario erano composte per la gran parte da importi già esistenti, prima della dichiarazione di fallimento di quella società, su altro conto corrente e poi trasferiti sul conto in argomento.
Inoltre, per una parte residua, le somme derivavano dai proventi dell’affitto di un complesso alberghiero facente parte del compendio aziendale, durante la gestione della curatela fallimentare; denaro che doveva considerarsi frutto e derivazione diretta del reimpiego di un patrimonio aziendale “interamente contaminato”, perché “permeato dai profitti illeciti derivanti dalle molteplici attività delittuose poste in essere”.
In effetti, nel caso di specie, era emerso che la curatela fallimentare aveva concesso in affitto quel complesso alberghiero ad una società a responsabilità limitata – le cui quote sono state in seguito pure sottoposte a sequestro – creata dal soggetto destinatario della misura di prevenzione (c.d. proposto). Costui risultava così avere la disponibilità di tali beni, in quanto si trattava di un’impresa collettiva solo formalmente amministrata dalla di lui figlia che era stata costituita in fase prefallimentare allo scopo di “svuotare” la società cooperativa e consentire allo stesso soggetto di continuare a gestire direttamente quel complesso.
Sul tema, tra l’altro, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l’estensione “ex lege” ai beni costituiti in azienda della confisca delle partecipazioni sociali totalitarie trova causa nel fatto che chi ha acquisito illecitamente, mediante i proventi della sua attività illecita o il loro reimpiego, le partecipazioni societarie totalitarie, ha acquisito illecitamente l’azienda (Cass. n. 51603/2018).
D’altra parte – ricorda la Cassazione – il sequestro può avere ad oggetto anche le somme depositate su un conto corrente che, a prescindere dall’eventuale origine formalmente lecita dovuta alla gestione dei beni aziendali, diventano anch’esse illecite dato che il conto viene così alimentato dall’impiego di beni dell’impresa inquinata in radice dai vantaggi illeciti basati su una pregressa attività delittuosa.
Infine, per quanto attiene specificamente ai rapporti tra la procedura di prevenzione e le procedure concorsuali, l’art. 64 comma 7 del DLgs. 159/2011 stabilisce espressamente che se – come è avvenuto nel caso di specie – il sequestro o la confisca di prevenzione hanno per oggetto l’intera massa attiva fallimentare ovvero, nel caso di società di persone, l’intero patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara la chiusura del fallimento.
Risulta così formalizzato il principio della prevalenza del procedimento di prevenzione sulle procedure concorsuali, per effetto del quale ai terzi titolari di preesistenti crediti verso la società dichiarata fallita non resta che far valere i propri diritti a titolo individuale nell’ambito della procedura di prevenzione, con le specifiche forme e le particolari modalità disciplinate dagli artt. 52 e seguenti del DLgs. 159/2011.