Per una maggior specializzazione dalla Commissione interministeriale due proposte: una «conservatrice» e l’altra «riformatrice»
Lo scorso 30 giugno, la Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, incaricata di stilare le linee guida della tanto auspicata riforma, incentivata anche dal PNRR, ha licenziato la sua relazione finale.
Le direttrici seguite dalla Commissione riguardano l’efficientamento del procedimento tributario, tramite il rafforzamento del contraddittorio, dell’autotutela e degli strumenti deflattivi e l’ammodernamento della struttura delle Commissioni tributarie, nell’ottica di rafforzare la specializzazione dell’organo giudicante e la qualità delle decisioni.
Se però c’è stata convergenza in seno alla Commissione sulla necessità di rafforzare tale specializzazione, è emerso contrasto, invece, sul come addivenire a tale obiettivo.
Su questo specifico punto, infatti, i membri della Commissione hanno formulato proposte differenti che si possono etichettare, utilizzando un gergo politico, in una proposta “conservatrice” e in una proposta “riformista”.
In particolare, pur concordando sulla necessità di approntare un giudice tributario a tempo pieno (o quasi), la componente fautrice della proposta “conservatrice” ritiene di mantenere la funzione onoraria del giudice tributario, prevedendo esclusivamente taluni correttivi allo status quo, quale quello di assegnare “a tempo pieno” ma determinato giudici togati di altre magistrature alle Commissioni tributarie; la componente fautrice della proposta “riformista” (composta, essenzialmente, dai professionisti e dai docenti universitari) propone invece, in linea con i plurimi disegni di legge presenti in Parlamento, di selezionare tramite concorso ad hoc una nuova classe di magistrati tributari a tempo pieno, dedicati esclusivamente alla risoluzione delle controversie tributarie.
Più in dettaglio, i “conservatori”, prendendo le mosse da una ritenuta illegittimità di una riforma organica della magistratura tributaria a costituzione invariata, vorrebbero limitare l’intervento alla previsione di taluni correttivi per l’accesso alla magistratura onoraria tributaria (limiti di età e obbligo di laurea in giurisprudenza o economia per i membri non togati), assicurando la specializzazione solo tramite l’istituzione presso le Commissioni tributarie regionali di apposite sezioni per la risoluzione delle controversie di maggior rilevanza (sopra i 25 mila euro), prevedendo che facciano parte di tali sezioni soltanto magistrati ordinari che richiedano l’assegnazione esclusiva alle Commissioni tributarie per un periodo fra 3 e 6 anni; alle sezioni “specializzate”, poi, dovrebbero partecipare anche docenti universitari di materie giuridiche e aziendalistiche, oltre che avvocati e dottori commercialisti con almeno 15 anni di attività, che opererebbero a tempo prevalente.
La proposta “riformatrice”, invece, prevede un radicale cambio di paradigma, con la previsione di apposito concorso per esami, a cui potrebbero accedere i laureati in giurisprudenza, con riserva di posti per gli attuali giudici tributari in servizio da almeno 6 anni provvisti di laurea in legge o economia, che possa selezionare una nuova classe di giudici realmente specializzati da assegnare ai Tribunali tributari. I giudici delle Corti d’Appello tributarie, invece, sarebbero esclusivamente magistrati togati che abbiano richiesto la definitiva assegnazione a tempo pieno alle Corti d’Appello tributarie, ovvero il collocamento fuori ruolo per almeno 4 anni; e questo fino a che i “nuovi” magistrati tributari non maturino i requisiti per l’accesso alle Corti d’Appello tributarie.
Viene, inoltre, proposta l’assegnazione a un giudice onorario monocratico delle controversie fino a 3 mila euro, alla stregua di quanto avviene nel civile con i giudici di pace e l’istituzione di una sezione specializzata tributaria presso la Corte di Cassazione a cui potranno accedere, in futuro, anche i magistrati tributari.
Insomma, la proposta “riformatrice” si pone in assoluta linea di discontinuità con il sistema attuale, puntando con maggior forza e decisione verso una vera specializzazione dei giudici tributari, superando l’attuale sistema “ibrido”, caratterizzato da giudici togati di comprovata esperienza nel proprio settore, ma spesso scevri delle conoscenze tecniche necessarie per la corretta risoluzione di una controversia tributaria.
A parere di chi scrive, quindi, la proposta “riformatrice”, sebbene assai più complessa e ardua da realizzare, non può che costituire l’obiettivo a cui tendere e la stella polare per le decisioni del legislatore, anche considerando che tutti i progetti di riforma attualmente fermi in Parlamento (sono ben 17) prevedono l’istituzione di un giudice tributario professionale, a tempo pieno.
Viceversa, reiterare sostanzialmente, seppur con lievi modifiche, un sistema, come quello attuale, che ha ampiamente mostrato i suoi limiti rischierebbe di trasformarsi nella proverbiale occasione persa, tradendo aspettative e ideali sottesi agli strumenti straordinari approntati per far fronte a questo momento storico.