La posizione della Cassazione sembra non condivisa dalla giurisprudenza di merito

Di Giorgio INFRANCA e Pietro SEMERARO

La restituzione di un finanziamento soci, ritenuto dall’Agenzia frutto di ricavi occulti, sebbene acceso in un periodo d’imposta ormai non più accertabile, può essere legittimamente contestato dal Fisco al momento della restituzione al socio, a nulla rilevando che l’annualità in cui detti utili non contabilizzati si sarebbero formati non è mai stata accertata e non è più accertabile.

È questo il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 18370/2021, in cui si avvertono chiaramente gli “effetti pratici” della sentenza a Sezioni Unite n. 8500/2021 con cui la Cassazione ha sancito che gli oneri pluriennali possono essere recuperati pro quota in ciascuna annualità in cui vi sia la rappresentazione degli stessi in bilancio, a prescindere dalla contestazione sul fatto generatore dell’onere e, soprattutto, dell’intervenuta decadenza relativamente all’annualità in cui l’onere è stato sostenuto.

Il caso di specie prende le mosse da un accertamento emesso nei confronti di un socio di una srl che, negli anni 2003 e 2004 (ormai “prescritti” al momento dell’accertamento), effettuava versamenti in contanti sul conto corrente della società con causale finanziamento infruttifero socio. Tale finanziamento è stato successivamente restituito al socio nell’esercizio 2005 (ancora suscettibile di accertamento).

Con riferimento all’annualità 2005, dunque, l’Amministrazione ha contestato la distribuzione occulta di ricavi non dichiarati formatisi nelle precedenti annualità 2003 e 2004 (per cui gli ordinari termini di decadenza erano spirati).
Il contribuente ha pertanto impugnato l’avviso facendo proprio valere l’intervenuta decadenza, atteso che la contestazione, in realtà, riguardava l’asserita mancata contabilizzazione di utili societari afferenti annualità d’imposta oramai “prescritte” e che, pertanto, il comportamento fiscalmente infedele “a monte” non poteva più essere sindacato.

La doglianza è stata rigettata dalla Cassazione. Per i giudici, infatti, l’accertamento riguarda soltanto la corresponsione degli utili occulti al socio, da considerarsi effettuata alla data della restituzione, non rilevando il momento genetico della formazione della provvista, atteso che, come affermato dalla citata pronuncia a Sezioni Unite, l’Erario non ha l’obbligo di contestare l’elemento economico o patrimoniale sin dal suo momento genetico, potendo limitarsi ad accertare il periodo d’imposta in cui tale elemento assume manifestazione reddituale. Pertanto, secondo la sentenza, il momento genetico del ricavo occulto degrada a mero presupposto dell’accertamento, ma non inibisce la ripresa; né possono ritenersi violate le regole in tema di distribuzione dell’onere probatorio, ben potendo il contribuente provare la legittimità del comportamento anche oltre gli ordinari termini di prescrizione.

Senza potersi dilungare in questa sede sulle criticità dell’indirizzo giurisprudenziale che va consolidandosi, ci si limita a rilevare che l’interpretazione fatta propria nella sentenza in commento, pare in contrasto con un’altra presunzione giurisprudenziale, pure assai criticata, relativa alla distribuzione degli utili occulti nelle società a ristretta base. Infatti, da un lato, si sostiene che gli utili “in nero” accertati in capo alla società di capitali possano essere accertati, nello stesso anno, anche in capo ai soci in quanto presuntivamente distribuiti; dall’altro, però, quando il termine per l’accertamento in capo alla società è ormai spirato, si supera la presunzione giurisprudenziale, considerando esclusivamente il momento dell’avvenuta “restituzione” ai soci.

Fortunatamente, però, la tesi espressa dalle Sezioni Unite e ribadita nella sentenza in oggetto, pare non convincere (almeno) parte della giurisprudenza di merito; si evidenzia, infatti, una recente pronuncia della C.T. Prov. Reggio Emilia (sentenza n. 162/1/21 del 14 giugno 2021) in cui si è espressamente ritenuto contrastata la tesi delle Sezioni Unite.

Nella citata sentenza, infatti, il giudice reggiano ha testualmente affermato che “se un fatto con conseguenze redditualmente rilevanti, si realizza in un determinato periodo d’imposta è a questo periodo d’imposta che ci si deve rifare, rectius risalire, volendone contestare l’an ed il quantum”, essendo la suddivisione in base ai periodi di ammortamento una mera operazione aritmetica vincolata nell’ammontare e non una vera espressione di una comportamento tributario “consapevole”. Del resto, continua il giudice, la tesi della Cassazione porterebbe ad effetti paradossali, quali quello di costringere i contribuenti a conservare documentazione atta a dimostrare la legittimità dell’iscrizione di un costo per tempi potenzialmente lunghissimi, se non sine die.

Non resta, allora, che auspicare che simili coraggiose posizioni giurisprudenziali si moltiplichino, conducendo a un revirement della Cassazione su un punto che, altrimenti, sarà destinato ad animare il contenzioso per i prossimi anni e che costringerà i contribuenti a oneri di conservazione che vanno anche ben oltre gli ordinari termini di legge.