Se non si è in grado di provarne l’esistenza, gli importi devono essere restituiti

Di Maurizio MEOLI

Il socio amministratore di snc, per evitare di dovere restituire gli importi prelevati dalla società a titolo di utili e di compensi, deve essere in grado di provare, quanto ai primi, l’approvazione dei relativi rendiconti e, quanto ai secondi, la loro qualificazione in termini di credito certo, liquido ed esigibile.
Ad affermarlo è l’ordinanza n. 12567 della Cassazione, depositata ieri.

La snc Alfa conveniva in giudizio Tizio, socio amministratore revocato, per ottenere la restituzione di somme ritenute indebitamente sottratte alla società per oltre 700.000 euro. Tizio si difendeva eccependo il fatto che tali somme corrispondevano agli utili maturati nel corso degli anni, nonché ai compensi per l’attività di amministratore svolta a favore delle società. La società Alfa replicava producendo in giudizio i bilanci relativi alle ultime tre annualità di riferimento, dai quali non emergevano tali crediti.

La domanda di restituzione della Alfa snc veniva accolta sia in primo grado che in appello. Tizio, quindi, ricorreva per Cassazione osservando, tra l’altro, come la pretesa restitutoria della società non potesse giustificarsi attraverso l’esame solo parziale della situazione contabile della società. La mancata emersione dei crediti dagli ultimi tre bilanci, in particolare, non escludeva che i crediti medesimi potessero trovare riscontro nella precedente contabilità. Peraltro – osservava Tizio – il socio di snc ha diritto di percepire la sua parte di utili, dopo l’approvazione del rendiconto, senza che sia a tal fine necessaria una delibera assembleare di approvazione della ripartizione degli utili stessi. Era, inoltre, errato ritenere che spettasse all’amministratore la prova di aver correttamente adempiuto ai propri obblighi e di aver maturato, nel corso degli anni, crediti nei confronti della società in misura corrispondente alle somme di cui si era appropriato.

La Cassazione rigetto il ricorso.
Si osserva, in primo luogo, come non sia corretto il rilievo secondo il quale il giudice di merito avrebbe preso in esame elementi contabili parziali, dovendo, invece, verificare l’ammontare di utili e compensi maturati dall’amministratore nel corso degli anni. Infatti, a fronte della pacifica appropriazione, da parte dell’amministratore, di somme acquisite dal patrimonio sociale, spettava a esso stesso dimostrare che tali importi corrispondevano a utili o compensi a lui dovuti. Se è vero che nelle società di persone il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art. 2262 c.c., all’approvazione del rendiconto (cfr. Cass. nn. 17489/2018 e 28806/2013), è altrettanto vero che grava sull’amministratore fornire la prova dell’approvazione di tali rendiconti su cui fondare la maturazione del diritto in questione e, di riflesso, la legittimità dei corrispondenti prelievi. Allo stesso modo, quanto ai compensi, avrebbe dovuto essere Tizio, quale socio amministratore della società, a dimostrare che taluni prelievi effettuati trovavano giustificazione nell’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile riconducibile all’attività di gestione societaria.

Si tratta – osserva la decisione in commento – di una conclusione che deriva dalla natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alle società di capitali, infatti, la responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata presenta tale natura.

Sicché la società (o il curatore, nel caso in cui l’azione sia proposta ex art. 146 del RD 267/1942) è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno. Spetta, invece, agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestati loro, l’osservanza dei predetti doveri (cfr. Cass. n. 17441/2016). La stessa conclusione si impone con riferimento alle società di persone, nelle quali è, però, controversa l’individuazione del soggetto legittimato a esercitare l’azione sociale di responsabilità: se esclusivamente la società, in persona del suo legale rappresentante (cfr. App. Napoli n. 1354/2016), o anche ciascun socio (cfr. Trib. Novara 21 aprile 2010).

A ogni modo, una volta accertata l’ingiustificata fuoriuscita di somme dalla società, questa, nella sua azione, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, mentre compete all’amministratore la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali all’estinzione di debiti sociali (come quelli eventi a oggetto gli utili di esercizio e i compensi a sé stesso spettanti) o il loro impiego per lo svolgimento dell’attività sociale, in conformità alla disciplina normativa e statutaria.
E infatti, come ad esempio precisato dalla Cassazione n. 16952/2016, la natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore consente alla società che agisce per il risarcimento del danno (o al curatore, in caso di fallimento) di allegare l’inadempimento, quanto alle giacenze di magazzino, restando a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci nell’esercizio dell’attività di impresa.