Non escluderebbe la rilevanza penale dell’alienazione simulata nemmeno il fatto che una parte del prezzo di vendita sia stato davvero corrisposto

Di Maria Francesca ARTUSI

Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto dall’art. 11 del DLgs. 74/2000, è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei, secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario a pregiudicare in tutto o in parte l’attività recuperatone dell’Amministrazione finanziaria, a prescindere dalla sussistenza di un’esecuzione esattoriale in atto (Cass. n. 46975/2018).

La norma incriminatrice parla, infatti, di atti simulati o fraudolenti senza specificarne le forme o il grado: la condotta riguarda chiunque “aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”. Si noti che riguardo al concetto di “alienazione simulata”, la giurisprudenza si è espressa ritenendo che non è necessario ricorrere alle definizioni dell’art. 1 del DLgs. 74/2000. È, infatti, sufficiente attingere alle comuni definizioni civilistiche secondo le quali la simulazione è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale. Sicché, l’alienazione è simulata quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti (Cass. n. 3011/2017).

Muovendo da tali considerazioni, la Cassazione, con sentenza n. 17166 depositata ieri, ha precisato che, a fronte di una vendita palesemente simulata di alcuni terreni e di un capannone, non varrebbe ad escludere la rilevanza penale nemmeno la circostanza che si sia trattato di una simulazione relativa e che una parte del prezzo di vendita sia stata effettivamente corrisposta.

Nel caso di specie, ad una società a responsabilità limitata operante nel settore edilizio e immobiliare erano state notificate cartelle di pagamento per l’omesso versamento dell’IRAP, delle ritenute IRPEF e dell’IVA, che sommandosi ad altre precedenti ammontavano ad un debito di circa 900.000 euro. Un mese dopo veniva costituita una società in accomandita semplice, avente, come soci accomandatari i legali rappresentanti della srl e come socio accomandante la moglie di uno dei due. I medesimi soci acquisivano poi il controllo totalitario della srl e questa stipulava un atto di compravendita con il quale cedeva alla predetta sas la proprietà di un capannone e di alcuni terreni pertinenziali prevedendosi un corrispettivo pari a circa 1.000.000 di euro.

Da accertamenti svolti presso le banche risultava, tuttavia, che l’assegno bancario costituente parte del corrispettivo della vendita non era stato mai incassato e che il concordato accollo da parte della compratrice del debito contratto dalla venditrice con gli istituti di credito non aveva comportato la liberazione della società venditrice, debitore originario, non risultando che la società acquirente avesse adempiuto, anche solo parzialmente, il debito verso le banche.

In definitiva, alla fuoriuscita dal patrimonio degli immobili venduti da una società all’altra non è stata corrisposta alcuna entrata, per cui il trasferimento dei beni alla società acquirente ha realizzato per la società venditrice una privazione “secca” di risorse, non avendo la srl ricevuto nemmeno una parte del prezzo (questo secondo la Corte di appello, mentre per il Tribunale almeno una parte del prezzo sarebbe stata erogata, ma comunque con movimenti di denaro per lo più formali).

La Cassazione conferma, pertanto, che le operazioni negoziali compiute dagli imputati, culminate nella vendita simulata, vanno inquadrate nell’alveo della fattispecie di cui all’art. 11 del DLgs. 74/2000.
In particolare, la natura simulata della compravendita viene affermata sulla base del fatto che l’unica finalità della stessa è stata quella di svuotare la società dei propri beni patrimoniali potenzialmente aggredibili dall’Erario, risultando peraltro l’importo dei debiti erariali non molto distante dal valore dei beni oggetto dell’operazione contrattuale.