Il DL Sostegni-bis moltiplica la misura per i soli incrementi del 2021, concedendo la possibilità di mutare la detassazione in credito d’imposta

Di Gianluca ODETTO

Le ultime bozze del DL “Sostegni-bis” contengono una misura di rafforzamento sostanziale, pur se transitorio, dell’ACE. Si prevede infatti che, per il solo 2021, il calcolo del reddito detassato sia effettuato applicando un coefficiente di remunerazione estremamente elevato (l’ipotesi sarebbe quella del 15%) alla variazione in aumento del capitale proprio registrata al termine dell’esercizio rispetto a quella esistente alla chiusura dell’esercizio precedente.

Verrebbe, quindi, abbandonato per il 2021 il consolidato principio, stabilito dall’art. 1 comma 2 del DL 201/2011, per cui l’incremento della base ACE è individuato quale massa unica, calcolato per differenza rispetto alla data del 31 dicembre 2010: occorrerebbe, al contrario, valutare distintamente l’incremento registrato tra il 31 dicembre 2021 e il 31 dicembre 2020, il quale beneficerebbe del coefficiente maggiorato del 15%, rispetto alla base ACE pregressa, calcolata sul periodo che va dal 2011 al 2020, la quale continuerebbe ad essere agevolata in base al coefficiente di remunerazione dell’1,3%.

Gli incrementi del 2021 (siano essi l’accantonamento dell’utile del 2020 o i versamenti e conferimenti a titolo patrimoniale dei soci) rileverebbero, poi, indipendentemente dalla data di versamento: ciò significa, ad esempio, che un versamento effettuato il 30 dicembre 2021, il quale rileverebbe ordinariamente per l’anno considerato limitatamente a 2/365 del relativo ammontare, potrebbe invece essere computato in modo integrale, facilitando in modo considerevole la pianificazione degli aumenti di capitale.

Per fare un semplice esempio, la società che accantoni l’utile dell’esercizio 2020 di 500.000 euro potrebbe beneficiare, nel 2021, di una detassazione di 75.000 euro (alla quale corrisponde una minore IRES di 18.000 euro), quando invece con le regole ordinarie il beneficio sarebbe di circa 11,5 volte minore.

Ma la portata agevolativa della nuova misura risulta ulteriormente rafforzata in virtù della possibilità di trasformare il beneficio della detassazione di una parte di reddito in credito d’imposta, calcolato applicando al rendimento nozionale le aliquote IRPEF o IRES (a tali fini, sono assunte le aliquote vigenti per il 2020). Si tratta, in sostanza, del medesimo meccanismo oggi previsto nel contesto della trasformazione delle eccedenze ACE in crediti IRAP: mutuando il semplice esempio sopra proposto, la società potrebbe quindi beneficiare di un credito d’imposta di 18.000 euro, il quale non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP e può essere utilizzato in compensazione nel modello F24 senza limiti di importo.

L’utilizzo del credito è possibile dal giorno successivo a quello in cui è avvenuto l’incremento (conferimento, rinuncia al credito ovvero delibera assembleare di accantonamento dell’utile), anticipando quindi realisticamente di molti mesi il beneficio (in via ordinaria, infatti, gli incrementi della base ACE vanno a ridurre gli importi dovuti a titolo di saldo IRPEF o IRES, nel caso specifico da versare a giugno o a luglio del 2022); chi intende, però, sfruttare la “super ACE” 2021 sotto forma di credito d’imposta è tenuto ad inviare una apposita comunicazione all’Agenzia delle Entrate, con modalità da stabilire con provvedimento dell’Agenzia medesima.

Ove la misura sia confermata nella versione definitiva del decreto legge, l’auspicio è che il beneficio spetti integralmente (dalla relazione tecnica non emergerebbero vincoli in tal senso) e che, quindi, non siano previsti meccanismi in stile “click day” o similari, ma una semplice indicazione degli incrementi della base ACE che possa servire al fine di eventuali controlli sostanziali.

Il legislatore ha anche previsto alcune misure limitative alla fruizione della “super ACE”.
La prima di esse ha carattere meramente quantitativo: la variazione in aumento rilevante per il beneficio maggiorato è, infatti, limitata ad un importo che, nelle ultime bozze, è fissato a 10 milioni di euro (quindi, per le società di capitali, con un reddito detassato massimo di 1,5 milioni di euro e un risparmio d’imposta massimo di 360.000 euro); tale limite è, però, indipendente dall’ammontare del patrimonio netto risultante dal bilancio d’esercizio.

In secondo luogo, sono previste clausole che, in sostanza, mirano a fare sì che gli incrementi posti alla base di calcolo della “super ACE” rimangano nel patrimonio dell’impresa almeno sino alla fine del 2023, in modo tale da evitare immissioni di denaro meramente temporanee, finalizzate al solo beneficio fiscale. In caso contrario sono previsti riversamenti, totali o parziali, del credito d’imposta, ovvero incrementi del reddito imponibile, proporzionali alla parte del patrimonio netto fuoriuscita dalla disponibilità dell’impresa.