Di recente il Tribunale di Milano ha contestato il mancato esercizio dei poteri attribuiti all’OdV, senza però dettagliarne i limiti

Di Maria Francesca ARTUSI

Con l’ingresso sempre più frequente della responsabilità “231” nelle aule di Tribunale, si evidenziano problematiche interpretative dovute alla disciplina “minima” contenuta nel DLgs. 231/2001.
La struttura dei modelli di organizzazione, così come l’attività dell’Organismo di vigilanza – pilastri della prevenzione dei reati-presupposto – derivano da best practices, linee guida, studi dottrinali e pronunce giurisprudenziali.
In particolare, a lungo si è discusso sul ruolo dell’Organismo di vigilanza, sulla sua responsabilità e sui suoi limiti di intervento.

Un recente caso di cronaca giudiziaria rimette al centro proprio questo tema. Si tratta della pronuncia del Tribunale di Milano relativa alle vicende giudiziarie su reati societari e finanziari contestati alla Banca Monte dei Paschi di Siena (Trib. Milano 7 aprile 2021 n. 10748).
Nelle ampie motivazioni viene analizzata la struttura dell’OdV composto da due professionisti esterni (di cui uno con il ruolo di coordinatore) e da un membro interno, da individuarsi in un consigliere di amministrazione non esecutivo con caratteristiche di indipendenza (secondo i requisiti indicati dal codice di autodisciplina delle società quotate). In proposito, viene condivisa dal Tribunale la scelta di “professionisti tutti di elevato spessore e comprovata esperienza in materia di finanza aziendale, controllo contabile e vigilanza bancaria”.
Si guarda anche al regolamento interno adottato dall’Organismo e alla previsione di riunioni “con periodicità almeno trimestrale (e ogniqualvolta ve ne fosse stata la necessità)”.

Nel caso di specie, l’OdV in questione, avvisato delle operazioni bancarie in essere, peraltro già all’attenzione dell’Autorità giudiziaria, ha dedicato una serie di incontri a tali tematiche audendo i responsabili interessati e la società di revisione, chiedendo l’esibizione delle risultanze delle ispezioni effettuate dall’Autorità di vigilanza e concordando un confronto con il legale della Banca.
Per i giudici, tuttavia, mancherebbero adeguati follow up a tale attività: non vi sarebbe “prova dell’inoltro della documentazione richiesta (o di solleciti in tal senso) né, tantomeno, di attente riflessioni dell’OdV sul tema (nonostante l’evidente rilevanza)”.

Anche dopo la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura per i reati di false comunicazioni sociali e aggiotaggio, infatti, secondo la sentenza in commento non vi sarebbe stata una adeguata attivazione. “In definitiva, l’organismo di vigilanza – pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, ivi inclusa la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto (così il regolamento del luglio 2012) – ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti (funzionali alla prevenzione dei reati, indisturbatamente reiterati), nonostante la rilevanza del tema contabile, già colto nelle ispezioni di Banca d’Italia (di cui l’OdV era a conoscenza) e persino assurto a contestazione giudiziaria”.

Il Tribunale di Milano si spinge inoltre ad affermare che “nel periodo d’interesse l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débàcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato”. Tale carenza dell’Odv fonderebbe, così, la “colpa di organizzazione” di cui all’art. 6 del DLgs. 231/2001, secondo un ragionamento che non appare di chiara lettura, dal momento che tale “colpa” è generalmente fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati (cfr., tra le altre, Cass. SS.UU. n. 38343/2014 e Cass. n. 18842/2019).

Ci si deve allora domandare quali siano questi “penetranti poteri di iniziativa e controllo” tali che avrebbero potuto addirittura scongiurare l’illecito.
In questa medesima direzione si era già mosso il Tribunale di Milano con sentenza 12 maggio 2020 n. 13490, sempre correlata alla vicenda bancaria in questione.

Si noti che il DLgs. 231/2001 assegna all’OdV il “compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli, di curare il loro aggiornamento” (art. 6 comma 1 lett. b) del DLgs. 231/2001). D’altra parte, l’art. 7 comma 4 prevede che “l’efficace attuazione del modello richiede: a) una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello”, senza fare alcun cenno a obblighi di impedimento dei reati-presupposto.

Autorevole e prevalente dottrina ha, così, da sempre precisato che i compiti dell’OdV sono di generica prevenzione, prospettici e organizzativi, non volti a impedire singoli eventi lesivi. Tanto è vero che è sempre stata esclusa una posizione di garanzia rilevante ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p.