Alla mancata integrazione della soglia corrisponde la convinzione del legislatore circa l’assenza di una «sensibilità» penalistica del fatto

Di Ciro SANTORIELLO

Una delle principali ragioni che condussero il legislatore a introdurre il reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter.1 c.p. era senz’altro quella di pervenire, ricorrendo alle sanzioni previste da tale nuova figura di reato, a una più efficace repressione delle condotte di evasione fiscale. Infatti, se qualsiasi crimine può fungere da illecito base del reato di cui all’art. 648-ter.1 c.p. – eccezion fatta per le contravvenzioni e per i reati colposi –, tuttavia è indiscutibile che l’introduzione del delitto di autoriciclaggio di fatto sia stata operata prendendo in particolare considerazione – o meglio, cercandone di assicurare una più intensa repressione – i reati fiscali.

Nell’ottica del legislatore, dunque, la repressione dell’autoriciclaggio dovrebbe rappresentare una significativa modalità di contrasto all’evasione fiscale, volendosi rimediare con l’art. 648-ter.1 c.p. a quelli che da tempo sono ritenuti i principali profili critici della normativa penal-tributaria, considerando che il reato di autoriciclaggio è punito più severamente rispetto agli illeciti tributari ed è soggetto a un più lungo tempo di prescrizione. Va tuttavia riscontrato che la giurisprudenza ha saputo coniugare tale intenzione del legislatore con il principio di legalità, delimitando con precisione quali sono le condizioni in presenza delle quali l’illecito fiscale può rappresentare il reato presupposto del delitto di autoriciclaggio.

L’intervento della giurisprudenza di Cassazione può apprezzarsi con particolare riferimento alla ricostruzione della rilevanza da riconoscere ad alcune specificità proprie degli illeciti tributari. Il riferimento in particolare è alle previste cause di non punibilità di tali reati, nonché alla circostanza che per alcuni di tali delitti è previsto il necessario superamento, per la punibilità del fatto, di determinate soglie di punibilità.

Relativamente alle cause di non punibilità di tali illeciti – come in caso di pagamento del debito tributario o adesione a trattamenti di favore previsti da legislatore –, la Cassazione ha adottato un atteggiamento di assoluto rigore. Con riferimento al ricorso da parte del contribuente delle diverse ipotesi di condono, il giudice di legittimità ha escluso la rilevanza che per il reato tributario presupposto operi una causa di punibilità di tal fatta, in quanto, come si desume dal terzo comma dell’art. 648 c.p., deve ritenersi irrilevante per la configurabilità del reato di ricettazione la presenza, tra l’altro, di una causa di non punibilità riferita al reato presupposto (Cass. nn. 43387/2019 e 23396/2005). Ad analoga conclusione si è giunti con riferimento all’ipotesi di sopravvenuta estinzione del reato – si pensi al pagamento del debito tributario per i reati omesso versamento delle ritenute d’acconto o gli acconti IVA o l’indebita compensazione di crediti non spettanti (Cass. nn. 43387/2019 e 56379/2018).

Diversa è invece la conclusione che – correttamente – la Cassazione ha di recente assunto con riferimento all’ipotesi in cui la condotta di evasione non risulti punibile per il mancato superamento della prevista soglia di punibilità (Cass. n. 11986/2021). Pur se per la sussistenza dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio o autoriciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (Cass. n. 42052/2019), è altresì evidente che non può farsi luogo ad autoriciclaggio, per insussistenza del reato presupposto, nell’ipotesi in cui la somma di denaro oggetto di reimpiego sia stata accumulata mediante evasione fiscale non penalmente rilevante perché sotto soglia.

La soglia di punibilità prevista in varie fattispecie incriminatrici di cui al DLgs. 74/2000, infatti, “rientra tra gli elementi costitutivi del reato. Essa si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico, con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di una «sensibilità» penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività” (Cass. n. 27007/2020), con la conseguenza che il mancato raggiungimento della soglia di punibilità comporta l’assoluzione dell’imputato con la formula “il fatto non sussiste” (Cass. n. 37954/2012) e quindi non si rinviene il presupposto della condotta di autoriciclaggio.