Il Tribunale di Venezia osserva come si continui a godere del medesimo diritto di voto

Di Maurizio MEOLI

La modifica dello statuto che restringe la facoltà dei soci di delegare terzi a partecipare e votare in assemblea (limitandola, per le persone fisiche, al solo ambito familiare e, per le società socie, ai soli soci della medesima società) non legittima al recesso i soci che non abbiano concorso alla deliberazione medesima.
È questo il principio di diritto che si desume dalla sentenza n. 360/2021 del Tribunale di Venezia.

Ai sensi dell’art. 2437 comma 1 lett. g) c.c. – dettato in tema di spa, ma applicabile, ex art. 2519 comma 1 c.c., anche alle cooperative (nel cui contesto si sviluppava il caso di specie) – hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non abbiano concorso alle deliberazioni riguardanti le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
Tale previsione ha dato vita a differenti ricostruzioni con riguardo alla nozione di “diritti di voto”, al rapporto tra essi e i “diritti di partecipazione”, all’estensione di questi ultimi (solo diritti economici o anche diritti amministrativi), alle modificazioni che incidono in via “indiretta” sui diritti di voto e di partecipazione e, infine, con riguardo al rilievo delle modificazioni che incidono soltanto “di fatto” sui medesimi diritti.

La Cassazione, nella sentenza n. 13875/2017, intervenendo in materia, ha stabilito che la delibera che modifica il quorum deliberativo per le assemblee straordinarie, riconducendolo alla previsione legale, non comporta una modificazione concernente i diritti di voto o di partecipazione legittimante il recesso ex art. 2437 comma 1 lett. g) c.c.
La disciplina del recesso, infatti, offre elementi sia letterali che sistematici che depongono a favore di un’interpretazione restrittiva della ricordata disposizione normativa. Ciò sia con riguardo ai diritti di partecipazione, da limitare ai diritti di natura economica, che per i diritti di voto, rispetto ai quali le eventuali modifiche sono quelle che intervengono sulle limitazioni di cui all’art. 2351 c.c. (ad esempio, azioni senza diritto di voto, a voto limitato o a voto subordinato).

In particolare, allora, quanto ai diritti di partecipazione, si osserva come se essi fossero intesi in senso ampio, ossia come comprensivi dei diritti di partecipazione all’amministrazione della società, la menzione dei diritti di voto, nell’espressione tenuta insieme dalla disgiuntiva “o” (diritti di voto “o” di partecipazione) non avrebbe senso, giacché i diritti di voto rappresentano l’aspetto principale dei diritti di partecipazione all’amministrazione della società. Di conseguenza, osservano i giudici veneziani, è, innanzitutto, possibile escludere che la modifica statutaria in questione possa essere considerata, al fine del sorgere del diritto di recesso, sotto il profilo della modifica dello statuto concernente i diritti di partecipazione (da riferire ai soli diritti economici).

Resta, invece, da verificare se la medesima modifica possa legittimare il recesso in quanto determinante una modificazione dello statuto concernente i diritti di voto, e se una tale modificazione debba essere diretta o possa essere anche indiretta (escluso che possa rilevare, ai fini del recesso, una modificazione di mero fatto).

Nella specie – afferma la decisione in commento – stante la previsione statutaria della regola che riconosce a ciascun socio cooperatore un unico voto, potrebbe certamente configurarsi una delibera legittimante il recesso ove si introducessero categorie di soci a voto plurimo ovvero si riconoscesse ai soci sovventori, ma non cooperatori, il diritto di voto, ovvero ove l’esercizio dei diritti di voto dei soci cooperatori fosse sottoposto a specifiche condizioni.
Si pensi, ad esempio, al caso del riconoscimento del diritto di voto plurimo ai soci cooperatori costituiti in forma societaria; questa soluzione inciderebbe direttamente sul loro diritto e, indirettamente, si ripercuoterebbe sul diritto dei soci a voto singolo, perché non costituiti in forma societaria, che vedrebbero allontanarsi, attraverso tale modifica, la concreta possibilità di “rilevare” nella formazione della volontà assembleare.

Non altrettanto, peraltro, è reputato possibile dirsi in relazione al caso in cui i diritti di voto siano in qualche modo incisi dalla disciplina della facoltà di delega riconosciuta al socio. Ciò in quanto le ipotesi di recesso devono essere interpretate restrittivamente: sia quelle legali, sia quelle che, per volontà dei soci, sono state inserite nello statuto (potendo, comunque, l’autonomia privata intervenire ad ampliarle).

Depongono in tal senso, da un lato, l’esigenza di certezza funzionale al buon andamento della società, che deve essere posta in condizione di apprezzare, prima di procedere, quali modificazioni statutarie faranno sorgere il diritto di recesso in capo al socio, e, dall’altro, il rischio, evidenziato dalla Cassazione n. 13875/2017, che una lettura in senso ampio estenda a un numero non solo vasto, ma anche indeterminato le possibili ipotesi di recesso.
E allora, la modifica in questione non legittima il recesso neanche in rapporto al diritto di voto, perché non concerne in sé tale diritto, ma inerisce esclusivamente a una modificazione della possibilità di farsi rappresentare in assemblea; cosa diversa dal riconoscimento del diritto di voto.