La Corte di Cassazione nega l’estradizione in un caso di abuso di informazioni privilegiate

Di Maria Francesca ARTUSI

Nell’ambito dell’abuso di informazioni privilegiate, diverse conseguenze penali e penal-processuali derivano dalla qualifica di “insider primario” o “insider secondario”. In particolare, la sentenza n. 10068 della Cassazione, depositata ieri, esclude la possibilità di estradizione di un soggetto statunitense, qualificando lo stesso quale “insider secondario” e, in quanto tale, responsabile unicamente per l’illecito amministrativo previsto dall’art. 187-bis del DLgs. 58/98.

Le indagini, originate dalla denuncia della SEC di operazioni sospette, avevano consentito di accertare l’esistenza di una rete internazionale molto estesa di associati a delinquere, alcuni dei quali operavano all’interno di banche d’investimento e che, per tale ragione, avevano accesso a informazioni riservate concernenti le società quotate in borsa che si erano rivolte a tali banche per consulenze. Costoro, anziché mantenere il riserbo sulle informazioni, le offrivano in vendita ad altri complici che, a loro volta, ne facevano uso direttamente a proprio vantaggio, negoziando essi medesimi i titoli, ovvero, al fine di non esporsi troppo, condividevano dette informazioni con altri intermediari che le trasmettevano ai negoziatori finali dei titoli, in cambio di compenso a percentuale.

Il tema affrontato dalla Cassazione consiste nella qualificazione giuridica della condotta di uno dei soggetti coinvolti. Nel nostro sistema, infatti, è punita con sanzione penale la condotta dell’insider primario, ovvero il soggetto interno alla società che pone in essere le condotte materiali, in forza delle informazioni privilegiate di cui dispone avendole apprese a cagione del ruolo rivestito nella società emittente o, comunque, della qualifica professionale rivestita.

È, invece, diversamente considerata la condotta – che potrebbe essere materialmente la stessa – riferibile all’insider secondario ovvero al soggetto, privo delle qualifiche soggettive, che, avendo ricevuto le notizie, le utilizza per compiere le operazioni; condotta che, nel nostro sistema penale, è sanzionata con la sanzione amministrativa prevista dall’art. 187-bis comma 4 del DLgs. 58/98.
La questione è tutt’altro che secondaria anche alla luce del fatto che la natura amministrativa di quest’ultimo illecito non consente l’estradizione né con riguardo agli illeciti c.d. “fine” né con riguardo ai reati associativi e a quelli di “conspiracy” che presuppongono la natura penale dell’illecito a monte.

La differente qualificazione si fonda proprio sul ruolo svolto dal soggetto imputato, in quanto l’art. 184 presuppone una “precisa qualità soggettiva” dell’agente che non è limitata allo specifico ruolo rivestito nell’ambito della società emittente (membro di organi di amministrazione, direzione, controllo , della partecipazione al capitale), bensì generalizza il riferimento al possesso delle informazioni privilegiate in ragione dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione, o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio che metta l’agente in condizione di venire a conoscenza delle informazioni riservate. Si tratta, cioè, di un reato proprio in cui l’agente è selezionato in funzione di coloro che, “in ragione” delle specifico ruolo, possono acquisire e detenere informazioni privilegiate.

In sostanza l’insider è un soggetto che, per il ruolo ricoperto e le funzioni che svolge, è a conoscenza di informazioni privilegiate che l’agente utilizza nella compravendita o altre operazioni sugli strumenti finanziari, così ottenendo un profitto. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il possesso dell’informazione è un presupposto della condotta, con riferimento al quale l’agente deve essere consapevole della sua connotazione privilegiata e della sua potenzialità modificativa, in termini sensibili, del prezzo dello strumento finanziario (Cass. n. 8588/2010).
D’altra parte, l’art. 187-bis comma 4, nella versione introdotta per effetto dell’art. 4 comma 9 del DLgs. 107/2018, ha ridefinito le condotte costitutive dell’illecito amministrativo di abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate riferibili al c.d. insider secondario.

Nel caso di specie, secondo la ricostruzione dei fatti analizzata dai giudici, viene esclusa la sussistenza dei requisiti soggettivi che consentono di ritenere il soggetto imputato destinatario – nell’ordinamento giuridico italiano – dei divieti recati dall’art. 184 e che costituiscono imprescindibile condizione ai fini dell’applicazione della sanzione penale.

Optando, così, per la natura amministrativa dell’illecito, questa osta, da un lato, all’integrazione dei reati associativi e a quelli di “conspiracy” e alla conseguente estradizione; dall’altro, osta anche alla configurabilità nei fatti, nell’ordinamento italiano, del reato di favoreggiamento (art. 378 c.p.), che presuppone, a monte, la realizzazione di un fatto costituente reato, ovvero del delitto di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) che è punibile solo ove le utilità impiegate provengano da delitto non colposo.