Per il pro rata IVA, confermata l’irrilevanza delle operazioni che non rientrano nell’attività propria dell’impresa

Di Luca FORNERO e Gianluca ODETTO

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 7183 depositata ieri, 15 marzo 2021, esamina alcune tematiche in materia immobiliare che potrebbero aprire alcuni scenari nuovi rispetto a comportamenti che sinora sono invece parsi consolidati.

Il primo di essi riguarda il c.d. “scorporo” del valore delle aree sottostanti i fabbricati strumentali nei casi in cui essi sono stati acquisiti con contratto di leasing finanziario.
In questi casi, le imprese hanno, a quanto consta, normalmente seguito le indicazioni che si rinvengono nella circ. Agenzia delle Entrate n. 1/2007 (§ 7.6), nei cui esempi traspare il principio per cui il valore dei canoni annuali al quale applicare le percentuali forfetarie del 20% o del 30% previste dall’art. 36 commi 7 e seguenti del DL 223/2006 può non coincidere con la mera somma algebrica dei canoni periodici di competenza dell’esercizio: ciò in quanto l’importo di competenza dell’esercizio medesimo tiene conto (in positivo) della quota parte del maxicanone iniziale, ripartito lungo la durata del contratto pro rata temporis.

L’ordinanza va, invece, in senso contrario a questa impostazione, ritenendo che nella valutazione della quota non deducibile non si debba tenere conto della parte riferibile al maxicanone, con una conseguente riduzione della ripresa fiscale da operare ai fini dell’IRES. La motivazione addotta dalla Corte si basa sulla considerazione per cui, per effetto della contabilizzazione del leasing con il metodo finanziario (metodologia, da quanto sembra, utilizzata dalla società controricorrente e ammessa da parte della giurisprudenza anche per le imprese che adottano i principi contabili nazionali), “il maxicanone va contabilizzato interamente nell’esercizio di competenza” e, conseguentemente, “il valore del bene da ammortizzare negli esercizi successivi risulterà decurtato dell’intero maxi-canone in questione”.

Ugualmente innovativo è il principio espresso in ambito IRAP. Secondo la posizione dell’Agenzia (circ. n. 36/2009, § 1.3, per gli ammortamenti, e n. 38/2010, § 1.6, per il leasing), anche ai fini del tributo regionale, la quota di canone di leasing o di ammortamento riferibile al terreno pertinenziale deve essere considerata indeducibile in base ai citati commi 7 e seguenti.
L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, ribadita anche dalle istruzioni al modello IRAP, si fonda sul tenore letterale della norma, che fa generico riferimento alle “quote di ammortamento deducibili”, senza specificarne l’ambito impositivo.

La suddetta impostazione è stata sempre avversata dalla dottrina (cfr., ad esempio, circ. Assonime n. 34/2009), secondo la quale il valore indeducibile delle suddette aree dovrebbe essere assunto secondo i corretti criteri di redazione del bilancio.
Infatti, l’art. 36 comma 7 del DL 223/2006 è anteriore alle modifiche recate alla disciplina dell’IRAP dalla L. 244/2007: quest’ultima, introducendo il principio di derivazione diretta dal bilancio dei componenti positivi e negativi del valore della produzione, dovrebbe aver “disattivato”, ai fini del tributo regionale, l’applicazione delle regole fiscali da esso dettate, sostituendole con la corretta applicazione dei principi contabili (ex art. 5 comma 5 del DLgs. 446/97).

In tale solco si pone anche l’ordinanza in commento, secondo la quale, ai fini IRAP, la deduzione dei canoni di leasing immobiliare deve essere riconosciuta per la quota stanziata a Conto economico, ad eccezione della quota interessi, desunta dal contratto, indeducibile per dato normativo.

Tale principio appare estensibile a tutti gli oneri per cui sono posti limiti di deducibilità nell’ambito delle imposte sui redditi (essenzialmente, auto e telefonia), l’inerenza dei quali, secondo la citata circ. n. 36/2009, “può essere considerata senz’altro sussistente anche ai fini dell’IRAP qualora vengano dedotti importi di ammontare non superiore a quelli determinati applicando le disposizioni previste per le imposte sul reddito” (che però non possono applicarsi, visto che l’art. 5 del DLgs. 446/97 non le prevede più). Successivamente, con la circolare n. 39/2009, l’Agenzia era tornata sui suoi passi, precisando che il contribuente che “nutra dubbi” in merito può dedurre importi non superiori a quelli previsti in ambito IRES, lasciando però intendere che importi dedotti in misura superiore devono essere giustificati.

La sentenza conferma, da ultimo, che nel calcolo del pro rata IVA non devono essere considerate le operazioni svolte in modo occasionale, le quali risultano estranee all’attività propria dell’impresa; a tali fini, con una linea che non si discosta da quella propria della giurisprudenza comunitaria e nazionale, l’ordinanza n. 7183/2021 precisa che, per stabilire se l’attività esercitata rientra tra quella propria dell’impresa, occorre avere riguardo all’attività effettivamente svolta, indipendentemente dalle previsioni dello Statuto sociale.