La disparità tra le parti raggiunge livelli davvero preoccupanti

Di Alfio CISSELLO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6395 depositata ieri, ribadisce un principio che, purtroppo, denota come, in ambito non solo accertativo ma anche processuale, sia a dir poco evidente la manifesta disparità tra il contribuente e la parte pubblica. Questa, come si sta per dimostrare, è posta in un ruolo di assoluta supremazia rispetto al contribuente.

I giudici affermano che nel processo scaturente dal ricorso del contribuente contro il diniego espresso o il silenzio-rifiuto, l’ente impositore può, nelle controdeduzioni tempestivamente depositate, eccepire in compensazione un proprio controcredito. A questo fine, non è necessario che venga adottato un formale provvedimento di fermo.

Dal punto di vista strettamente processuale, non viene, secondo la Cassazione, ampliato l’oggetto del contendere.
Il tema è quindi la possibilità di eccepire la compensazione legale in ambito processuale tributario.
Se l’eccezione proviene dal contribuente, la controparte pubblica (con l’avallo di una giurisprudenza ormai consolidata, vedasi per tutte Cass. 10 febbraio 2010 n. 2957, Cass. 23 aprile 2020 n. 8068) ne obietta la illegittimità, in quanto la compensazione è sì ammessa, ma nel rispetto dei regolamenti attuativi dell’art. 8 della L. 212/2000.

Oltre al danno la beffa.
Da un lato l’Erario non ha ancora adottato (dopo oltre vent’anni) i decreti attuativi che renderebbero operante la compensazione anche al di fuori delle ipotesi ex art. 17 del DLgs. 241/97, dall’altro, sfrutta a proprio vantaggio tale inadempienza “paralizzando” l’eccezione del contribuente.
Esaminiamo ora la situazione che si ha quando ad eccepire la compensazione è l’Erario.

Il legislatore ha sentito l’esigenza di prevedere la necessità che gli uffici, ai sensi dell’art. 23 del DLgs. 472/97, possano disporre la sospensione del rimborso o anche la compensazione se la c.d. ragione di credito è contenuta in un atto ormai definitivo. Tali atti sono impugnabili, come senza mezzi termini sancisce il richiamato art. 23.

Per i giudici, il Fisco, addirittura “evidentemente”, può eccepire la compensazione nelle controdeduzioni. In sentenza si legge: “È evidente, dunque, che l’Amministrazione, anche nel caso in cui non abbia adottato un provvedimento di fermo o di sospensione del rimborso, conserva la possibilità di opporre direttamente – nel giudizio che sia stato avviato nei confronti del diniego di rimborso (e, in ispecie, in caso di silenzio-rifiuto) – l’eccezione di compensazione che, se ritualmente e tempestivamente proposta, costituisce una eccezione in senso stretto (di merito) e non un indebito ampliamento dell’oggetto del giudizio”.

La disparità tra le parti non necessita davvero di considerazioni ulteriori.
Resta da domandarsi come possano i giudici sostenere che l’eccezione di compensazione (che implica una delibazione sommaria sul controcredito, specie quando non deriva da atti ormai inoppugnabili) non ampli l’oggetto del contendere, quando per il legislatore stesso deve essere contenuta in apposito atto impositivo.

Se la ragione di credito è contenuta in un accertamento impugnato, ci va un provvedimento di fermo, se l’accertamento è definitivo un provvedimento di compensazione.
Di sicuro non si può ritenere che ciò possa essere bypassato da una semplice eccezione contenuta nelle controdeduzioni.