La Cassazione sottolinea come comprenda figure diverse e dissimili tra loro

Di Maurizio MEOLI

L’istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 e ss. c.c., ricomprendendo in sé una congerie di figure diverse e anche molto dissimili tra loro, non si presta a una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre. I creditori di titolo anteriore alla cancellazione dell’“ente originario” si avvantaggiano del regime di responsabilità proprio della relativa struttura. A tale regime rimane ancorata, di conseguenza, la fallibilità dell’“ente originario”, che l’intervenuta trasformazione non è idonea a impedire.

In caso di trasformazione, l’art. 10 del RD 267/1942 trova comunque applicazione nei confronti dell’“ente originario”. La soggettività fallimentare di questo ente non è diversa da quella che viene riconosciuta a una qualunque società cancellata dal Registro delle imprese e dichiarata fallita nel corso dell’anno successivo. Lo strumento di tutela dei creditori dato dall’opposizione, che è previsto dalla legge in relazione alle operazioni di trasformazione, non può in alcun modo considerarsi sostitutivo di quello rappresentato dal fallimento, posto che, per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione, appronta una tutela di intensità sensibilmente inferiore.

Sono questi i principi di diritto affermati dalla Cassazione nella sentenza n. 1519, depositata ieri.
L’istituto della trasformazione di cui agli artt. 2498 e ss. c.c., osservano in primo luogo i giudici di legittimità, ricomprendendo in sé figure diverse e anche molto dissimili tra loro, non si presta a una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre. Il legislatore ha solo fissato il limite dell’istituto nella necessaria presenza di almeno una struttura societaria: o alla partenza dell’operazione o in esito a essa (cfr. Cass. n. 23174/2020 e Cass. n. 10302/2020).

Occorre considerare, allora, che la corrente impostazione della trasformazione in termini di “modificazione” del contratto originario e del conseguente soggetto giuridico finisce per risultare non esaustiva e comunque non risolutiva di ogni possibile problema possa porsi per le varie ipotesi di trasformazione.
Ad ogni modo, la lettura della trasformazione in termini di “modificazione” non presuppone – né implica – che la struttura originaria, come esistente prima della trasformazione, non sia più suscettibile di distinta e autonoma considerazione dopo che l’operazione sia avvenuta: non sempre, cioè, l’“ente originario” viene a dissolversi senza residui nell’“ente trasformato”.

Nella fattispecie di trasformazione di srl in associazione sportiva dilettantistica, in particolare, all’autonomia patrimoniale dell’ente originario fa seguito la sussistenza del regime di responsabilità proprio delle associazioni non riconosciute, ex art. 38 c.c. (cui sono riconducibili le associazioni sportive dilettantistiche).
A fronte di ciò, si osserva come la trasformazione non abbia in sé la forza di mutare retroattivamente il regime di responsabilità relativo alla struttura precedente al compimento dell’operazione.

Per questo, i creditori di titolo anteriore alla trasformazione si avvantaggiano del regime di responsabilità proprio della relativa struttura, mentre i creditori di titolo posteriore all’operazione utilizzano quello che connota la nuova struttura (cfr. Cass. n. 23174/2020 e Cass. n. 16511/2019).
La mera circostanza che, con la trasformazione, i rapporti proseguano con l’ente trasformato è aspetto che non incide in alcun modo sul regime di responsabilità anteriore e posteriore al compimento dell’operazione.

Il problema della fallibilità dell’ente originario (nella specie, una srl) si pone in termini oggettivamente distinti ed autonomi rispetto a quello dell’eventuale fallibilità dell’ente trasformato. E, quindi, quanto all’ente trasformato, la circostanza che eserciti, o meno, attività di impresa è sicuramente rilevante in funzione dell’eventualità di un suo fallimento, ma non viene a incidere sulla prospettiva del fallimento dell’ente originario; circostanza che l’intervenuta trasformazione non è idonea a impedire (occorrendo, eventualmente, una norma, che non esiste, che sancisca ciò espressamente).

In tale contesto, poi, si precisa come l’art. 10 del RD 267/1942 trovi comunque applicazione nei confronti dell’ente originario, dal momento che suo presupposto applicativo è la cancellazione dell’imprenditore dal Registro delle imprese, senza distinzioni fondate sul “titolo” della cancellazione stessa. La soggettività fallimentare dell’ente originario si fonda sul fatto che esso è da ritenere “esistente”, sotto questo peculiare profilo, nello stesso modo e negli stessi termini di una qualunque società cancellata dal Registro delle imprese e dichiarata fallita nel corso dell’anno successivo.

Tutte queste considerazioni, infine, non sono inficiate dalla constatazione che l’operazione in questione è soggetta all’opposizione dei creditori ex art. 2500-novies c.c. Come precisato dalla Cassazione n. 31654/2019, e ripreso dalla Cassazione n. 23174/2020, infatti, questo strumento di tutela non si pone come rimedio “sostitutivo e necessario”, ma solo “aggiuntivo”. Tale assunto, sebbene formulato con specifico riguardo all’operazione di scissione, deve ritenersi riferibile anche alle altre ipotesi in cui l’ordinamento prevede simile strumento e, per quanto qui interessa, alla materia della trasformazione eterogenea.