Se il creditore rimane inerte nella titolarità del suo credito, non possono ritenersi esistenti elementi certi per una perdita fiscalmente rilevante

Di Francesco BRANDI

La disciplina fiscale della perdita su crediti, di cui all’art. 101 del TUIR, stabilisce che l’inesigibilità del credito deve risultare da “elementi certi e precisi”, sicché, ove la perdita derivi da rinuncia al credito, occorre che l’atto unilaterale di rinuncia sia giustificato da un’effettiva irrecuperabilità del credito, con onere della prova a carico del creditore, rientrando diversamente negli atti di liberalità indeducibili a fini fiscali.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 743 di ieri, 19 gennaio 2021, che ha respinto il ricorso di una srl rendendo definitivo il recupero a tassazione operato dall’Agenzia delle Entrate.

La Cassazione conferma dunque l’esito dei gradi di merito. Secondo la C.T. Reg., la normativa fiscale prevede la deducibilità dal reddito d’impresa delle perdite su crediti se queste risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Nel caso di specie la società contribuente si era limitata a inoltrare richieste scritte alla debitrice, ritenendo inopportuno l’esercizio di azioni legali volte al recupero del credito, tenendo un comportamento che non poteva legittimare la detrazione della perdita dal reddito d’impresa.

In Cassazione la contribuente ha sostenuto che la legge richiede esclusivamente che la perdita risulti da elementi certi e precisi, indipendentemente dalla causa che tale perdita abbia originato, e che la rinuncia al credito è certamente idonea ad attribuire alla perdita il carattere della definitività e certezza richiesta ai fini della deducibilità.

La Suprema Corte, nel respingere il ricorso, ha affermato che al fine di ritenere deducibili le perdite su crediti quali componenti negative del reddito d’impresa, non è necessario che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore, essendo sufficiente, come voluto dal legislatore, che le perdite contestate risultino documentate in modo certo e preciso. Qualora invece si tratti di perdita derivante da rinuncia al credito occorre che l’atto unilaterale di rinuncia sia giustificato da una effettiva irrecuperabilità del credito, poiché, diversamente, rientrerebbe negli atti di liberalità, indeducibili ai fini fiscali. Pertanto, ha spiegato la Cassazione, se il creditore rimane inerte nella titolarità del suo credito, non possono ritenersi esistenti elementi certi per configurare una perdita fiscalmente rilevante.

Nel caso in esame, la contribuente ha scelto di rinunciare unilateralmente al credito vantato nei confronti della debitrice a fronte del rifiuto da questa espresso, adducendo a giustificazione di tale comportamento che il rapporto di dipendenza economica che la legava alla società rendeva inopportuno l’esercizio di una azione giudiziaria finalizzata al recupero del credito, non fornendo in tal modo prova alcuna che la rinuncia trovasse concreta giustificazione nella effettiva irrecuperabilità dello stesso.

Sul punto si ricorda che l’art. 101, comma 5 del TUIR, come chiarito anche dalla risoluzione n. 16/2009 dell’Agenzia delle Entrate, subordina la deducibilità delle perdite su crediti a rigide prescrizioni: le stesse, infatti, rilevano fiscalmente solo se risultano da elementi certi e precisi, fatta eccezione per i casi di assoggettamento del debitore a procedure concorsuali le quali determinano in modo automatico le condizioni legittimanti la deduzione del componente negativo.

Al di fuori dei casi di assoggettamento a procedure concorsuali (dove il problema è semmai quello di stabilire il periodo di competenza dello specifico componente negativo) la presenza di elementi certi e precisi rappresenta la condizione indispensabile per operare la deduzione delle perdite su crediti; in questi casi è il contribuente che deve farsi carico dello specifico onere probatorio ed è proprio su questa questione che si sviluppa la maggior parte del contenzioso con l’amministrazione finanziaria.

Per porre fine ai contrasti giurisprudenziali nell’interpretazione della disposizione de qua, è intervenuto l’art. 33 del DL 83/2012 che ha modificato l’art. 101 del TUIR, per agevolare la deduzione fiscale delle perdite derivanti dall’insolvenza dei clienti. Vengono individuati nuovi casi in cui l’impresa è legittimata, senza particolari oneri documentali, a portare in deduzione la perdita, in quanto si ritengono integrati “ex lege” gli elementi certi e precisi. A questo scopo vengono fissate, in relazione ai crediti da dedurre, due soglie: una di tipo temporale, l’altra di tipo quantitativo.

Per ottenere la deduzione automatica è necessario che tali crediti siano scaduti da oltre 6 mesi e che siano di importo modesto in relazione al volume d’affari dell’impresa in questione: i crediti, infatti, non devono superare la soglia di 5 mila euro per le imprese di grandi dimensioni (ovvero con ricavi superiori a 150 milioni di euro ex art. 27, comma 10 del DL 185/2008, anche se la soglia non è pacifica) e 2.500 euro per tutte le altre imprese. La norma è in vigore dall’esercizio 2012 e si estende anche a crediti, inseriti in bilancio, che avevano già maturato i requisiti da essa previsti.