Non occorre che l’amministratore abbia posto in essere un reato tributario nell’esercizio della relativa gestione

Di Maurizio MEOLI

La confisca (e, in via preventiva, il sequestro) per equivalente dei beni di una società-schermo è possibile anche in relazione a reati tributari non commessi nel contesto dell’amministrazione della stessa. Ad affermarlo è la Cassazione nella sentenza n. 34956/2020.

Il tema del sequestro e della confisca per equivalente in caso di reati tributari commessi da legali rappresentanti di società è stato affrontato e chiarito qualche anno fa dalle Sezioni Unite della Cassazione.
In particolare, con la decisione n. 10561/2014, sono stati affermati i seguenti principi di diritto:
– è consentito, nei confronti di una persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica;

– non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio;

– non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato;

– la impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto del reato.

La Cassazione n. 34956/2020, ora, sottolinea come il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite n. 10561/2014, secondo cui, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’ente a eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni, sia stato formulato nei suddetti termini in ragione della peculiare situazione in quel caso esaminata e non possa essere inteso nel senso che presupposto del richiamo a tale schema sia che l’amministratore abbia commesso il reato che origina il profitto, della cui confisca si tratti (eventualmente preceduta da sequestro preventivo), nell’ambito della gestione di quella società-schermo.

Non vi sarebbe, infatti, alcuna ragione in grado di impedirne l’applicazione laddove la confisca per equivalente sia riferita al profitto di un reato che l’amministratore e sostanziale titolare della società-schermo abbia commesso in una diversa veste; vale a dire quale amministratore di altra società, ovvero indipendentemente dallo svolgimento di funzioni amministrative di enti. Ciò che conta, cioè, non è il legame tra commissione del reato ed operatività della società-schermo, ma la riferibilità di quest’ultima, e dei beni e valori del suo patrimonio, al soggetto che di quelle utilità abbia la concreta disponibilità quale amministratore (anche soltanto di fatto) dell’ente.

Illuminante, al riguardo, è reputata l’argomentazione addotta dalle Sezioni Unite a sostegno dell’affermato principio, dove si afferma che nei casi come quello nella specie esaminato (così come in tutti gli altri consimili in cui sia ravvisabile la medesima ratio) “la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato in «apparente» vantaggio dell’ente, ma, nella sostanza, a favore proprio”.

Peraltro, l’argomentazione si riferisce al “profitto per equivalente” perché la sentenza ha in altra parte analizzato, e affermato, la legittimità della confisca diretta del profitto di reato nei confronti della società che ne ha in qualche modo beneficiato. Il sancito principio di diritto, quindi, impedisce che uno schermo societario meramente fittizio valga a escludere la riconducibilità al reo di beni e utilità formalmente e fittiziamente intestati a quel soggetto giuridico e di cui il medesimo comunque “ha la disponibilità” nel senso richiesto dall’art. 322-ter c.p. (e, oggi, dall’art. 12-bis del DLgs. 74/2000).

A fronte di tali indicazioni, infine, appare opportuno evidenziare come, in esito alle recenti estensioni della responsabilità 231 alle più gravi fattispecie penali tributarie (in forza del DL 124/2019 e del DLgs. 75/2020), in caso di contestazione delle stesse, commesse a decorrere dalle suddette estensioni, sia possibile un più agevole ricorso al sequestro e alla confisca del profitto, passando per la specifica previsione di cui all’art. 19 del DLgs. 231/2001.