Un emendamento al Ddl. di bilancio 2021 include le cessioni tra le preparazioni alimentari agevolate

Di Corinna COSENTINO e Simonetta LA GRUTTA

Le cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto rientrano tra le preparazioni alimentari soggette ad aliquota IVA del 10%.
È quanto recita un emendamento al Ddl. di bilancio 2021 approvato in Commissione Bilancio alla Camera, sul quale si registra il consenso unanime dei gruppi parlamentari. Il testo così modificato approda oggi all’esame dell’Aula.

Se la disposizione in oggetto dovesse essere confermata, dunque, la fornitura dei predetti beni alimentari beneficerebbe dell’aliquota IVA del 10% anche quando resa al di fuori di un servizio di somministrazione.
Si ricorda, infatti, che secondo la prassi dell’Amministrazione finanziaria (in linea con la giurisprudenza comunitaria), le somministrazioni di alimenti e bevande si distinguono dalle cessioni dei relativi beni per l’asporto o per la consegna a domicilio in quanto le prime sono caratterizzate da una prevalenza di prestazioni di “fare” (e si qualificano come prestazioni di servizi), mentre le seconde, costituendo forniture di alimenti e bevande rese senza una componente preponderante di servizi di supporto, si qualificano come cessioni di beni.

La disciplina nazionale prevede per le somministrazioni l’aliquota del 10% e per le cessioni da asporto o a domicilio l’applicazione dell’aliquota propria di ciascun bene (ridotta o ordinaria). Pertanto, la riconducibilità di un’operazione alla seconda ipotesi piuttosto che alla prima, può determinare talvolta l’applicazione di un’aliquota IVA più elevata.
La differenziazione ha assunto particolare rilievo nell’attuale periodo emergenziale, posto che la generalità degli esercenti (ristoranti, bar, pub, ecc.), in ragione delle restrizioni di legge volte a contenere la diffusione del coronavirus, è stata costretta a convertire temporaneamente la propria abituale attività di somministrazione in un’attività di cessione di beni per l’asporto o per la consegna a domicilio.

Sul tema, con specifico riferimento al periodo emergenziale, si è registrata un’apertura da parte del MEF, il quale, in risposta a un’interrogazione parlamentare (n. 5-05007 del 18 novembre 2020), ha ammesso l’equiparazione ai fini IVA tra le somministrazioni e le cessioni da asporto o a domicilio, nella misura in cui queste ultime costituiscano modalità integrative dell’attività di somministrazione abitualmente svolta dall’esercente.

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate, pronunciandosi successivamente su un tema analogo, ha ribadito i principi già noti in merito alla distinzione tra cessioni da asporto e somministrazioni e ha omesso di fare riferimento alla posizione espressa dal Ministero, generando così incertezze tra gli operatori (cfr. risposta a interpello n. 581/2020).

L’intervento del legislatore si innesta nel dibattito instauratosi a seguito delle interpretazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria e sembra volto a neutralizzare uno dei risvolti più critici della distinzione tra somministrazione e asporto ai fini IVA, ossia il problema dell’aliquota IVA applicabile ai piatti pronti (da intendersi, ragionevolmente, come piatti precotti o piatti che richiedono un intervento umano non significativo per la fornitura al cliente) e ai pasti preparati per il consumo immediato forniti al di fuori delle somministrazioni.

Si può ritenere, infatti, che in molti casi gli esercenti assoggettino tali operazioni ad aliquota IVA del 22%. La nuova disposizione inserita nel Ddl. di bilancio 2021, invece, le riconduce tra quelle soggette ad aliquota del 10%. In particolare, stabilisce che la nozione di “preparazioni alimentari” di cui al n. 80) della Tabella A, Parte III, allegata al DPR 633/72 deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto.

Il legislatore, dunque, non equipara le operazioni in parola a servizi di somministrazione di alimenti e bevande, ma stabilisce che le stesse, pur continuando a qualificarsi come cessioni di beni, sono soggette ad aliquota ridotta (indipendentemente dalla circostanza che la cessione “sostituisca” o integri l’attività di somministrazione).
La norma dovrebbe avere valenza di interpretazione autentica, per cui l’aliquota IVA ridotta dovrebbe applicarsi retroattivamente.

Peraltro, tale impostazione non sembra in contrasto con la disciplina comunitaria (si veda il combinato disposto dell’art. 98 della direttiva IVA con il n. 1) dell’Allegato III alla medesima direttiva, nonché le conclusioni dell’Avvocato generale relative alla causa C-703/18).

Si noti, infine, che la novità in commento, pur risolvendo una delle criticità legate alla “conversione” dei servizi di somministrazione in forniture di beni da asporto o a domicilio nel periodo emergenziale, non incide sul trattamento IVA di altre cessioni di beni (come l’acqua minerale, la birra, ecc.) che, se fornite al di fuori della somministrazione, continuano a scontare l’IVA con aliquota ordinaria.