Secondo la Cassazione, la «depenalizzazione» introdotta dal DL 34/2020 non può avere valore retroattivo

Di Maria Francesca ARTUSI

Nonostante le modifiche apportate alla normativa sull’imposta di soggiorno da parte del decreto “Rilancio”, l’omesso versamento di tale imposta mantiene in parte rilevanza penale.

In effetti, la giurisprudenza prevalente ha ritenuto che il titolare di un’attività ricettiva che ometta di versare le somme incassate a titolo di imposta di soggiorno potesse essere chiamato a rispondere del reato di peculato ai sensi dell’art. 314 c.p. Tale norma punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che si appropria del denaro o di altra cosa mobile altrui di cui ha il possesso, o comunque la disponibilità, in ragione del suo ufficio o servizio.
Secondo tale impostazione, l’amministratore o il legale rappresentante di una struttura alberghiera che procede materialmente alla riscossione dell’imposta di soggiorno riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in considerazione della natura prettamente pubblicistica della sua attività derivante da norme di diritto pubblico istitutive di detta imposta (Cass. n. 53467/2017).

Parte della dottrina ritiene, invece, che l’albergatore debba essere considerato un agente della riscossione e non un sostituto d’imposta né un responsabile d’imposta. Molte procure si sono però mosse nel senso dell’orientamento più restrittivo, attribuendo rilevanza penale alle condotte illecite connesse alla riscossione dell’imposta di soggiorno.

Su questa scia interpretativa si è collocata anche la Corte di Cassazione nella sentenza n. 36317, depositata ieri, in cui è stato espressamente affrontato anche il tema delle modifiche apportate all’art. 4 del DLgs. 23/2011 da parte dell’art. 180 del DL 34/2020 convertito.
Questa disposizione del decreto “Rilancio” ha, infatti, precisato la responsabilità dell’esercente per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria che va dal 100 al 200% dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica, invece, la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del DLgs. n. 471/97 (pari al 30% dell’importo non versato).

La norma ha quindi modificato sostanzialmente il rapporto intercorrente tra il gestore della struttura ricettiva e l’ente impositore, che da rapporto di “servizio” per la riscossione dell’imposta è divenuto un rapporto di natura tributaria in cui il gestore ha assunto il ruolo di “responsabile d’imposta”, pur rimanendo il soggetto principale legittimato passivamente colui che alloggia nella struttura ricettiva, come si evince dal fatto che il legislatore non ha modificato il comma 1 dell’art. 4 citato e ha previsto a favore del gestore il diritto di rivalsa per l’intero del tributo pagato nei confronti dei “soggetti passivi”.

Ci si domanda, allora, se tale previsione costituisca un superamento della responsabilità penale, comportando una vera e propria “abolitio criminis”, ai sensi dell’art. 2 c.p.) in grado di incidere anche sulle condotte poste in essere precedentemente al 2020.

La Cassazione in commento ritiene in proposito che l’illecito amministrativo-tributario riguardi una diversa condotta rispetto a quella rilevante penalmente in passato: nell’attuale fattispecie non vi è più un agente, estraneo al rapporto tributario, che si appropria dell’imposta della quale era incaricato della riscossione e del versamento, bensì si è in presenza di un soggetto privato, solidalmente obbligato con altri, che omette di versare l’imposta stessa.
In effetti, non è il mero omesso versamento a integrare il peculato, bensì l’effettiva appropriazione delle relative somme.

Senza ripercorrere qui le ampie argomentazioni della sentenza in tema di successione di leggi penali ed extrapenali (cfr. Cass. SS.UU. n. 25887/2003), può essere utile evidenziare che la Cassazione nega all’art. 180 del decreto “Rilancio” il valore di “norma interpretativa autentica”, che abbia inteso cioè vincolare il giudice nella qualificazione giuridica del rapporto tributario sottostante alla tassa di soggiorno, non risultante da una norma specifica e ricostruito sulla base dei principi generali.
Conclusivamente, viene ribadita la rilevanza penale a titolo di peculato delle condotte commesse in epoca anteriore all’entrata in vigore delle modifiche (19 luglio 2020).

Va tuttavia rilevato – sebbene non espressamente chiarito dalla pronuncia in commento – che per le condotte successive potrebbe, invece, valere il principio di specialità previsto dall’art. 9 della L. 689/81, secondo il quale “quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”. Sul punto vi sono, a oggi, interpretazioni contrastanti che necessiterebbero di un chiarimento, per evitare disparità di trattamento.