La punibilità penale per l’omesso versamento del tributo non implica l’obbligo di segnalazione «esterna» in ambito concorsuale

Di Saverio MANCINELLI

Il DLgs. 26 ottobre 2020 n. 147 (decreto “correttivo”) reca disposizioni tese a modificare ed integrare il DLgs. 12 gennaio 2019, n. 14 c.d. “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (CCII).

Per quanto ci occupa, nell’ambito delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, il decreto correttivo modifica l’art. 15 del DLgs. 14/2019, titolato “Obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati”. Tale norma prevede l’obbligo per l’Agenzia delle Entrate di attivare l’allerta, dando avviso al debitore che la sua esposizione debitoria ha superato l’importo “rilevante”.

Prima delle modifiche apportate dal DLgs. 147/2020, la quantificazione dell’importo “rilevante” era ancorata all’infelice formulazione di parametri percentuali, ovvero il totale del debito scaduto e non versato per IVA, risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica, pari ad almeno il 30% – ridotto al 10% nella bozza di decreto correttivo – del volume d’affari del medesimo periodo e, nel contempo, non inferiore a 25.000, 50.000 e 100.000 euro, rispettivamente per imprese con volume d’affari realizzato nell’anno precedente fino a 2.000.000, 10.000.000 e oltre 10.000.000 di euro (si veda “Nella riforma fallimentare allerta IVA dell’Agenzia delle Entrate da chiarire” del 29 novembre 2018).

Con il decreto correttivo si archivia, prima ancora del suo varo, il (cervellotico) criterio delle “percentuali” venendo innalzata e scaglionata la soglia rilevante necessaria per attivare l’allerta esterna da parte dell’Agenzia delle Entrate; la novellata disposizione, infatti, richiede – in modo lineare – un debito IVA scaduto e non versato, risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica, non inferiore a 100.000, 500.000 e 1.000.000 di euro rispettivamente per un’impresa con volume d’affari, risultante dalla dichiarazione dell’anno precedente, fino a 1.000.000, 10.000.000 e oltre 10.000.000 di euro; viene, altresì, fissato in sessanta giorni dalla comunicazione di irregolarità (art. 54-bis comma 1 del DPR 633/1972), il limite di tempo entro cui l’Agenzia deve effettuare l’avviso al debitore.

I nuovi parametri per omessi versamenti IVA sono, quindi, di pronta applicazione, ma innalzano drasticamente la soglia dell’allerta, riducendo – conseguentemente – il numero di segnalazioni dell’Agenzia delle Entrate e, pertanto, rendono vano quell’intento di “emersione anticipata della crisi” che si era prefisso il legislatore, soprattutto mediante l’introduzione delle procedure di allerta e di composizione assistita.

Inoltre, le soglie dell’allerta restano totalmente “scollate” dalla normativa penale/tributaria di cui al DLgs. 74/2000, dove l’art. 10-ter, titolato “Omesso versamento di IVA”, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per un ammontare superiore a 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

Ciò significa che un omesso versamento di IVA penalmente rilevante (anche se con il ritardo dettato dalla postergazione del momento consumativo del reato, attualmente individuato nel 27 dicembre dell’anno successivo) potrebbe risultare al di sotto della soglia d’allerta, ergo essere privo di segnalazione qualificata da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Qualcosa viene “recuperato” dal legislatore del decreto correttivo introducendo un nuovo terzo comma nell’art. 38 del DLgs. 14/2019, in cui statuisce che il Pubblico Ministero (cui compete “notizia” e con “potere di iniziativa” rispettivamente ai sensi degli artt. 22 e 38, primo comma del DLgs. 14/2019) può intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza. A tal fine l’ingresso sulla “scena processuale” della magistratura requirente, con necessaria specializzazione in ambito concorsuale, non dovrebbe essere di passiva presenza, in quanto, nell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, gli omessi versamenti IVA di importo rilevante sono un sintomo inequivocabile di stato di insolvenza.

A ciò si aggiunga che l’omissione del pagamento di tributi e contributi previdenziali, anche per far fronte ad uscite finanziarie relative a costi aziendali, costituisce una violazione dei doveri di corretta gestione della società, con conseguente responsabilità dell’organo amministrativo e del collegio sindacale.