Secondo la Corte di Cassazione, prevale l’interpretazione letterale dell’art. 105 del TUIR

Di Alessandro COTTO

Con la sentenza n. 24848 del 6 novembre la Cassazione si è occupata, a quanto risulta per la prima volta, della deducibilità delle quote di accantonamento al trattamento di fine mandato degli amministratori, confermando che non esiste una norma che obblighi le società a dedurre le predette quote nelle forme e nei limiti previsti per i lavoratori dipendenti.
La Suprema Corte ha quindi rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di secondo grado che aveva consentito la deducibilità delle quote di accantonamento al TFM superiori al compenso annuo degli amministratori diviso per 13,5, soglia prevista dall’art. 2120 c.c. per il TFR dei dipendenti .

La questione è da tempo dibattuta ed era già approdata ai giudizi di merito con pronunce contrastanti.
Secondo un primo orientamento (C.T. Reg. Piemonte n. 1221/2/19), il criterio di calcolo di cui all’art. 2120 c.c. segnerebbe il limite dell’importo deducibile ai sensi dell’art. 105 del TUIR anche per gli amministratori, fermo restando che, ai fini della regolamentazione civilistica del rapporto, all’amministratore può essere applicato un accantonamento per TFM in misura maggiore, con la conseguenza che non sarebbe deducibile l’accantonamento nella misura in cui supera il limite determinato come sopra.

Altra parte della giurisprudenza (C.T. Reg. Piemonte n. 618/1/20; C.T. Prov. Reggio Emilia n. 199/2/20) e la dottrina prevalente avevano invece sottolineato come non esista una disposizione che regoli l’entità del TFM da applicare agli amministratori poiché l’art. 2120 c.c. attiene esclusivamente ai lavoratori dipendenti. Ne consegue che, mancando il “riferimento a tabelle contenenti i limiti massimi di spesa, gli importi accantonati sono rimessi alla libera volontà delle parti”. La stessa Commissione aveva osservato che non è riconosciuto all’Amministrazione finanziaria uno specifico potere di valutazione della congruità dei limiti massimi di spesa poiché è la delibera assembleare che ne determina i criteri di ragionevolezza e congruità.

Tornando alla sentenza in esame, la Cassazione sottolinea che gli unici limiti alla deducibilità per competenza degli accantonamenti al trattamento di fine mandato sono rinvenibili nell’obbligo di un atto scritto avente data certa, anteriore all’inizio del rapporto che ne specifichi anche l’importo.

La Cassazione non si sofferma sul tema della congruità dei compensi, anche se è noto che, soprattutto ultimamente, la stessa Corte è orientata a ritenere che rientri nei poteri dell’Amministrazione finanziaria valutare la congruità dei compensi degli amministratori (Cass. n. 31607/2018).
Anche ammettendo questo potere di sindacato, la cui legittimità resta dibattuta, dalla sentenza in commento sembra emergere che non esistano ulteriori limiti specifici legati al TFM. In altri termini, se i compensi degli amministratori sono ragionevoli e congrui rispetto alla realtà imprenditoriale, questi potrebbero essere interamente erogati sotto forma di trattamento di fine mandato, ovvero di compensi immediati (per i quali la deducibilità è subordinata all’effettiva corresponsione) o, ancora, in forma mista (compensi immediati e TFM).

È auspicabile che l’orientamento della Suprema Corte si consolidi in modo da indurre l’Agenzia delle Entrate ad abbandonare questo tipo di rilievi, che sembrano più orientati a trasformare costi in reddito e non si traducono in un effettivo recupero di evasione fiscale.