Può essere esclusa una sanzione in conseguenza dei diritti fondamentali che la Carta Ue associa alle sanzioni aventi natura penale

Di Maria Francesca ARTUSI

L’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia Ue, nelle proprie conclusioni nella causa C-481/19, pubblicate ieri, prende posizione sull’ambito applicativo del “diritto al silenzio” (nella forma del “diritto a non autoincriminarsi”) in relazione ai procedimenti amministrativi sugli abusi di mercato.

La questione è stata sollevata dalla Corte Costituzionale italiana (Corte Cost. n. 117/2019) relativamente ad un procedimento avanti alla CONSOB. L’autorità di vigilanza aveva irrogato ad un soggetto delle sanzioni pecuniarie per l’infrazione amministrativa di insider trading. Essa aveva altresì inflitto a costui una sanzione pecuniaria dell’importo di 50.000 euro per l’infrazione amministrativa di cui all’art. 187-quinquiesdecies del DLgs. 58/98, per avere rinviato più volte la data dell’audizione alla quale era stato convocato nella sua qualità di persona informata dei fatti e per essersi rifiutato di rispondere alle domande che gli erano state rivolte una volta presentatosi.

In proposito, la Consulta pone alla Corte di Giustizia una questione interpretativa rispetto al diritto al silenzio nell’ambito di procedimenti amministrativi che possano sfociare nell’irrogazione di una sanzione di natura penale, nonché sulla portata esatta di tale diritto, la cui determinazione è resa problematica dall’esistenza di un’asserita divergenza al riguardo tra la giurisprudenza in materia della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella della Corte costituzionale medesima.

Il citato art. 187-quinquiesdecies del DLgs. 58/98, sulle sanzioni applicabili in caso di omessa collaborazione alle indagini, è stato, infatti, introdotto in esecuzione di un obbligo posto dalla direttiva 2003/6/Ce e costituisce, oggi, l’attuazione di un’analoga disposizione del regolamento Ue 596/2014. Su queste dunque verteva la questione sollevata dai giudici costituzionali.

Si tratta di un’altra annosa problematica sui rapporti tra il procedimento amministrativo e il procedimento penale e sull’applicabilità al primo delle garanzie previste dal secondo. Il punto centrale qui riguarda lo stabilire se il diritto al silenzio (così come si desume dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) si applichi non soltanto nei procedimenti penali, ma anche nelle audizioni personali disposte dalla Consob nell’ambito della sua attività di vigilanza.

In proposito, né la Corte di Lussemburgo, né il legislatore dell’Unione hanno finora affrontato la questione se gli artt. 47 e 48 della Carta Ue impongano di riconoscere l’esistenza di tale diritto anche nell’ambito di procedimenti amministrativi che possano sfociare nell’irrogazione di sanzioni di natura “punitiva”.

Tuttavia, la Corte EDU ha ripetutamente dichiarato che, malgrado la mancanza di un riconoscimento esplicito, il diritto al silenzio e il diritto di non collaborare alla propria incolpazione, in quanto componente del diritto al silenzio, costituiscono norme internazionali generalmente riconosciute che sono al centro della nozione di processo equo sancita dall’articolo 6 della Carta europea dei diritti dell’uomo. D’altra parte, la stessa nozione di “penale” ha formato oggetto di un’interpretazione estensiva da parte della Corte EDU allo scopo di ricomprendere non soltanto i procedimenti che possano sfociare nell’irrogazione di sanzioni considerate come rientranti nella sfera penale dal legislatore nazionale, ma anche quelli che, pur essendo qualificati da quest’ultimo come amministrativi, fiscali o disciplinari, presentano natura essenzialmente penale.

Venendo al contenuto del diritto al silenzio, questo implica il rispetto della persona e della sua libertà all’autodeterminazione, mediante la prevenzione di ogni costrizione esercitata dalle pubbliche autorità sulla formazione della sua volontà. È evidente che esso non può, di per sé, legittimare il rifiuto di un soggetto di presentarsi all’audizione disposta dall’autorità di vigilanza o il suo indebito ritardo a presentarsi a tale audizione, fatta salva la possibilità per tale giudice di valutare se e in che misura tale rifiuto possa essere motivato dal fatto che l’interessato non abbia ottenuto la garanzia che il suo diritto al silenzio sia rispettato.

Nelle conclusioni in commento viene precisato che il legislatore Ue, lasciando agli Stati membri la libertà di stabilire la natura e la portata delle sanzioni da prevedere in caso di violazione dell’obbligo di collaborazione con l’autorità di vigilanza, ha necessariamente ammesso che l’irrogazione di una sanzione possa essere esclusa in conseguenza del riconoscimento dei diritti fondamentali che la Carta associa alle sanzioni aventi natura penale.

In definitiva, per l’Avvocato generale, le disposizioni unionali che hanno dato origine all’art. 187-quinquiesdecies possono essere interpretate in conformità al diritto al silenzio, nel senso che esse non impongono agli Stati membri di sanzionare coloro che rifiutano di rispondere a domande dell’autorità di vigilanza da cui possa emergere la propria responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di “natura penale”.