L’attività di direzione e coordinamento nei gruppi non fonda una posizione di garanzia penalmente rilevante

Di Maria Francesca ARTUSI

La responsabilità penale nei gruppi di imprese si connette alla disciplina societaria sulla direzione e coordinamento e sul ruolo del c.d. amministratore di fatto.

Assonime ha pubblicato il Caso n. 9/2020 su questi temi prendendo le mosse da una recente pronuncia della Corte d’appello di Firenze (n. 3733 del 16 dicembre 2019), che ha riconosciuto la responsabilità penale dell’amministratore delegato di una società capogruppo per la mancata adozione delle cautele necessarie a evitare un grave evento dannoso (il disastro ferroviario di Viareggio). In tale pronuncia la responsabilità è stata affermata non solo, in via diretta, nei confronti delle società proprietarie del carro merci deragliato e delle società appaltatrici dei servizi di manutenzione, ma anche, in via indiretta, nei confronti delle società del gruppo che non avevano adeguatamente vigilato sul rispetto delle regole di sicurezza nella circolazione ferroviaria.

Si noti che il Tribunale di primo grado aveva escluso la responsabilità penale dell’amministratore delegato della capogruppo (e conseguentemente della società stessa ai sensi del DLgs. 231/2001), ritenendo che non potesse attribuirsi a esso una posizione di garanzia per il solo fatto di esercitare i poteri di indirizzo e coordinamento della holding. In appello, invece, costui è stato condannato quale “amministratore di fatto” delle società controllate.
Secondo la Corte d’appello, l’esercizio di una forte interferenza nella gestione da parte della holding, attraverso una serie di atti di indirizzo e controllo, determina l’assunzione in capo a quest’ultima e ai suoi vertici di una posizione di garanzia rilevante ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p.

La stessa Corte ha, invece, confermato – apparentemente in modo incoerente – l’esclusione della responsabilità ex DLgs. 231/2001 della holding, nella considerazione che non fosse compito della stessa valutare i rischi inerenti all’infrastruttura o il materiale rotabile, trattandosi di competenze proprie delle società controllate.

Nel proprio documento Assonime evidenzia diverse criticità legate a tale ricostruzione giuridica.
Innanzitutto, gli indici individuati per dimostrare la sussistenza di una posizione di garanzia in capo alla holding e al suo amministratore rientrano, in realtà, nel legittimo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento nell’ambito di un gruppo societario, che pur conducendo a una valutazione unitaria economico-imprenditoriale delle società del gruppo non conduce a un superamento dell’autonomia decisionale delle singole unità giuridiche e dei loro vertici. Si pensi alla tesoreria centralizzata, alle direttive di gruppo, all’unicità del sistema informatico, all’uniformità nella gestione del personale, alla commistione di ruoli di vertice in diverse società del gruppo.

Il secondo profilo di criticità – strettamente connesso al precedente – riguarda la valutazione degli aspetti ritenuti rilevanti per affermare la sussistenza del ruolo di amministratore di fatto delle società controllate da parte dell’amministratore delegato della holding, che non soddisfano, secondo Assonime, i principi giuridici sottesi a tale qualifica secondo dottrina e giurisprudenza.

In estrema sintesi al fine di attribuire a un soggetto la qualifica di amministratore di fatto occorre che le attività gestorie concretamente da questo esercitate presentino carattere sistematico e non si esauriscano nel compimento di singoli atti di natura eterogenea e occasionale. La holding invece non compie mai direttamente concreti atti di gestione delle società controllate e dirette. Può proporre il compimento di singole operazioni, ma non le attua, poiché tutte le deliberazioni suggerite devono essere valutate nel merito dall’organo amministrativo della controllata, che si assume la piena responsabilità della loro eventuale assunzione.

In altre parole, il ruolo e l’attività della holding non sono assimilabili a quelli di un ulteriore amministratore delle società controllate; si tratta, invece di una situazione di primazia che rileva e si impone dall’esterno sulla controllata (c.d. eterodirezione). Ciò ovviamente salvo i casi in cui il gruppo venga a ridursi a un “semplice simulacro formale” (Cass. n. 12979/2015).

Su simili basi viene criticata anche la sussistenza di una posizione di garanzia rilevante ai fini dell’omessa vigilanza ex art. 40 comma 2 c.p.: “l’affermazione di una posizione di garanzia presuppone oggi, alla luce dell’evoluzione del sistema dei controlli societari e delle diverse discipline prevenzionistiche da cui discendono obblighi organizzativi per l’impresa, una necessaria correlazione tra potere effettivo e responsabilità della gestione di un’area di rischio, che nel caso in questione non sussistono”.