La Cassazione ha ribadito che ciò avviene se le condotte sono volutamente depauperatorie del patrimonio aziendale e pregiudizievoli per i creditori

Di Maria Francesca ARTUSI

Anche condotte apparentemente lecite, o addirittura regolamentate dall’ordinamento – come la scissione societaria e la cessione di un ramo d’azienda –, possono integrare un reato di bancarotta ai sensi del RD 267/1942, quando queste si rivelino volutamente depauperatorie del patrimonio aziendale e pregiudizievoli per i creditori, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 e ss. c.c. di per sé idonee a escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie.
Tale assunto, già più volte affermato dalla giurisprudenza, è stato ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 27930 depositata ieri.

I giudici di legittimità hanno qui annullato con rinvio la precedente assoluzione per il delitto di bancarotta societaria attuata attraverso operazioni dolose ai sensi dell’art. 223 comma 2 n. 2 del RD 267/1942.
Viene, infatti, ribadito che qualunque negozio dispositivo e qualunque operazione societaria può assumere valenza distrattiva o dissipativa, sia nel caso in cui non si configurino correlativi incrementi patrimoniali o economici in favore della disponente, quanto in quello in cui l’operazione stessa avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (cfr. Cass. n. 1984/2019, Cass. n. 9398/2020 in tema di scissione e Cass. n. 34464/2018, in tema di cessione di ramo d’azienda).

Le operazioni rischiose, poste in essere dagli amministratori e dagli altri soggetti indicati nel citato art. 223, una volta dichiarato il fallimento, attualizzano l’offesa all’interesse tutelato dalle norme penali fallimentari, realizzando la condizione cui è, per legge, subordinata la punibilità del trasgressore.

Trattandosi di reato di pericolo concreto il dolo di bancarotta non richiede né la volontà di cagionare il fallimento, né la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di conferire al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

La cessione di un ramo di azienda con corrispettivo inferiore al valore reale può, allora, integrare il reato, non assumendo rilievo, al riguardo, il dettato dell’art. 2560 comma 2 c.c. in ordine alla responsabilità dell’acquirente rispetto ai pregressi debiti dell’azienda, costituendo tale garanzia un post factum della già consumata distrazione (Cass. n. 34464/2018). I giudici di legittimità contestano in proposito la visione ex post utilizzata dalla Corte d’appello “sterilizzando, il profilo della fittizia generazione di plusvalenze per la fallita senza affrontarne le ricadute in punto di consapevolezza della pericolosità della cessione”.

La stessa verifica è richiesta con riguardo alla scissione. Va così ritenuto potenzialmente illecito il conferimento tramite scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, a favore di altra società alla quale siano conferiti beni di rilevante valore, qualora tale operazione – astrattamente lecita – sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui opera la società fallita, nonché delle ulteriori operazioni poste in essere, si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale.

Se, infatti, è vero che a essi è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie, che rimangono obbligate per i relativi debiti, è vero altresì che un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni e che, soprattutto, all’esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle società beneficiarie, con la concreta possibilità che tanto riduca le possibilità di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese.

In sintesi, per affermare o escludere la sussistenza del reato è necessaria una valutazione in concreto, che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui versa la società fallita al momento dell’operazione straordinaria posta in essere.

Tra l’altro, nell’ambito di un gruppo di imprese, per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di risorse da una società a un’altra non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria al medesimo gruppo, dovendo, invece, l’interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 c.c., per la società apparentemente danneggiata (tra le altre, Cass. n. 47216/2019).