Nell’ultima versione del DL Agosto stralciata la norma sui termini per le note nelle procedure concorsuali

Di Simonetta LA GRUTTA e Antonio NICOTRA

Con la risposta a interpello n. 261, resa nota nella giornata di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, se la dichiarazione di fallimento è antecedente l’esercizio della clausola risolutiva per inadempimento e l’emissione delle note di variazione, il cedente/prestatore – fornitore di servizi a esecuzione continuata o periodica – al fine di recuperare l’IVA non riscossa deve procedere in base al comma 2 dell’art. 26 del DPR 633/72, insinuandosi al passivo della procedura e attendendo la scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale o, in assenza di tale piano, del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento. Il curatore, invece, dovrà annotare le note ricevute, senza inclusione nel riparto finale e nella dichiarazione IVA finale della procedura.

Nel caso di specie, una società, successivamente alla dichiarazione di fallimento, riceveva le note di accredito di fornitori di servizi a esecuzione continuata o periodica (art. 26 commi 2 e 9) per fatture insolute (emesse nel periodo antecedente e successivo al fallimento) relative a servizi resi prima del fallimento. Le note venivano emesse non avvalendosi del presupposto del mancato pagamento, ma a seguito della “risoluzione del contratto” per inadempimento del cliente (poi fallito) e in forza di clausola espressa.

Secondo l’istante, l’inclusione delle note di variazione nelle liquidazioni e nella dichiarazione IVA comporterebbe l’emersione di materia imponibile nel periodo successivo al fallimento, in contrasto con l’orientamento secondo cui, nel fallimento, ai fini IVA, ciò che rileva è il momento genetico dell’operazione e non quello della fatturazione (o emissione della nota di accredito), nonché con il principio della par condicio creditorum. L’istante ritiene di poter gestire le note di accredito alla stregua di quelle ricevute, al termine della procedura, a seguito del “mancato pagamento”, annotandole nei registri IVA del fallimento, ma senza includerle in liquidazioni periodiche e dichiarazione IVA.

L’Agenzia delle Entrate rammenta che l’art. 26 comma 2 del DPR 633/72 regola le variazioni “in diminuzione” dell’imponibile e dell’imposta e il suo esercizio, diversamente dalle variazioni “in aumento”, ha natura facoltativa (cfr. circ. n. 27/75 e Cass. n. 5403/2017) ed è limitato alle ipotesi previste dal legislatore.
Nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a un inadempimento, in base al comma 9 dell’art. 26, la facoltà di cui al comma 2 non si estende alle cessioni e prestazioni per le quali sia il cedente/prestatore che il cessionario/committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni.

È consentito al cedente/prestatore, quindi, di recuperare l’IVA relativa ai corrispettivi non percepiti per forniture, purché sussista una risoluzione per inadempimento e l’esercizio della clausola comporti l’effettiva interruzione della fornitura. Ne consegue che, in caso di mancato pagamento che integra una causa di risoluzione, il cedente/prestatore può operare le variazioni in diminuzione – senza promuovere una procedura esecutiva e attenderne l’esito – e recuperare l’IVA per tutte le forniture adempiute e insolute.

La Cassazione n. 12468/2019 ha chiarito che il prestatore di servizi ha la facoltà di variare in diminuzione la base imponibile dell’IVA in relazione alle prestazioni eseguite e non pagate “prima alla risoluzione” (cfr., sul tema, il principio di diritto dell’Agenzia delle Entrate n. 13/2019 e l’interpello DRE Lazio 3 maggio 2017).
Per le prestazioni a esecuzione continuata o periodica, il verificarsi della causa risolutiva espressa apposta al contratto, come il mancato pagamento (art. 1456 c.c.), determina la risoluzione dello stesso con effetti ex tunc, cioè a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta (art. 1458 c.c.).

Per l’Agenzia delle Entrate, nell’ipotesi di fallimento precedente l’esercizio della clausola risolutiva per inadempimento e l’emissione delle note di variazione, il fornitore, al fine di recuperare l’IVA non riscossa, deve procedere ex art. 26 comma 2 del DPR 633/72; conseguentemente, sarà necessaria l’insinuazione al passivo e l’infruttuosità della procedura (circ. n. 77/2000).
Il curatore, ricevute le note di accredito, dovrà annotarle (cfr. circ. n. 8/2017 punto 13) senza inclusione nel riparto finale e nella dichiarazione IVA finale della procedura. Tale annotazione, peraltro, non determina l’inclusione del credito IVA nel riparto finale (definitivo), ma ha lo scopo di evidenziare il credito esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis.

A margine si ricorda, infine, che nell’ultima versione del decreto “Agosto” si è registrato lo stralcio della norma, inizialmente contenuta in una prima bozza, che modificava l’art. 26 comma 2 del DPR 633/72, regolando con maggiore precisione i termini di emissione delle note di variazione nelle ipotesi di procedure concorsuali (si veda “Termini certi per le note di variazione nelle procedure concorsuali” del 7 agosto 2020). Con la conferma della disciplina vigente, invece, il legislatore ha (probabilmente) perso l’ennesima chance per chiarire un aspetto che resta controverso.