Le domande per la regolarizzazione potrebbero aumentare ma restano da definire aspetti fondamentali

Di Marcello ASCENZI

La procedura di emersione, in scadenza il 15 agosto e disciplinata dall’art. 103 del DL 34/2020 (decreto “Rilancio”), conv. L. 77/2020, consente di regolarizzare il lavoro sommerso di cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari dei seguenti settori: agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacultura e attività connesse; assistenza alla persona; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.

Le istanze per i lavoratori stranieri, in estrema sintesi, consentono, previo pagamento di un contributo forfetario di 500 euro, di sanare i rapporti in corso a condizione che i lavoratori non abbiano lasciato il territorio alla data dell’8 marzo 2020, siano stati sottoposti ai rilievi fotodattiloscopici o abbiano soggiornato in Italia prima di tale data riscontrabile da dichiarazione ex L. 68/2007 o da qualsiasi documentazione con data certa rilasciata dagli uffici pubblici.

Le domande presentate per gli stranieri, secondo i dati del rapporto del 31 luglio 2020 del Ministero dell’Interno, sono 148.594, di cui l’87% per l’emersione del lavoro domestico e solo il 13% per quello subordinato, riferito principalmente al lavoro agricolo, i cui beneficiari, tuttavia, risultano inferiori agli obiettivi attesi, considerando che la disposizione aveva come finalità quella di tutelare il lavoro in agricoltura.

Il numero di domande, presumibilmente, poteva essere maggiore se il quadro normativo fosse stato chiaro e completo sin da subito, ma importanti conferme e linee guida sono state fornite solo successivamente a procedura aperta e alcune rese nei giorni scorsi con la circolare n. 2399/2020 del Ministero dell’Interno e del Ministero del Lavoro. Soprattutto, resta ancora da definire la modalità di determinazione del costo della regolarizzazione.

La richiamata circolare ha integrato la precedente prassi emanata dal Ministero dell’Interno e dall’INPS concentrandosi su specifiche casistiche (si veda “Emersione anche con istanze plurime per il lavoro domestico” del 28 luglio 2020). Di particolare interesse è la possibilità di subentro nel rapporto di lavoro in casi definiti di forza maggiore quali il decesso dell’assistito o del datore di lavoro e la cessazione o il fallimento dell’azienda, per il personale che opera nel settore agricolo e negli altri settori per cui la norma prevede la regolarizzazione. Il subentro è consentito sia a un componente del nucleo familiare del defunto sia a un altro datore, ammettendo anche la modifica del rapporto di lavoro a patto di rimanere nell’ambito dei settori previsti dalla norma.

L’unica eccezione al subentro o al trasferimento del rapporto di lavoro riguarda il lavoro domestico, per cui sarà necessario effettuare la cessazione, inviando la relativa comunicazione e procedendo con una nuova comunicazione di assunzione tramite i canali previsti dall’INPS. In caso di cessazione o fallimento di azienda, il datore di lavoro subentrante deve comunicare i dati entro cinque giorni, utilizzando il modello “VarDatori” e avendo cura di valorizzare il campo “cessione del contratto”. Qualora il rapporto di lavoro non possa proseguire per assenza di un nuovo datore di lavoro, l’attuale datore di lavoro dovrà inviare la comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro.

I chiarimenti richiamati consentono una migliore comprensione di alcuni aspetti procedurali e delle conseguenze in caso di interruzione del rapporto di lavoro, ma non risolvono l’aspetto determinante legato al costo della regolarizzazione per il datore di lavoro, che resta ancora da definire con decreto del Ministero del Lavoro di concerto con il Ministro dell’Economia, con il Ministro dell’Interno e il Ministro delle Politiche agricole. Infatti, in aggiunta ai 500 euro comunque dovuti a titolo forfetario in fase di invio della richiesta, è previsto un contributo forfetario per le somme dovute dal datore a titolo retributivo, contributivo e fiscale la cui modalità di quantificazione e acquisizione non è nota, essendo stata demandata al decreto interministeriale non ancora emanato.

L’assenza di chiarezza su questo rilevante aspetto potrebbe scoraggiare dal procedere con la sanatoria o portare il datore di lavoro a interrompere il rapporto irregolare con il dipendente, per poi chiedere a quest’ultimo di presentare domanda di permesso ai sensi del secondo comma del citato art. 103 che consente, agli stranieri con permesso scaduto alla data del 31 ottobre 2019 e che abbiano prestato attività nei settori previsti dalla norma sopra richiamati, di ottenere un permesso di 6 mesi convertibile in permesso di lavoro in caso di assunzione, cui il datore potrà procedere nei settori previsti dalla norma.
In tale modo il lavoratore irregolare otterrebbe il permesso di lavoro al solo costo forfetario di 130 euro cui si aggiungono 30 euro a copertura degli oneri del servizio, ma rimarrebbe irregolare l’eventuale rapporto di lavoro pregresso.