In alcuni casi l’emissione dovrebbe poter avvenire dopo il 31 dicembre 2020

Di Alfio CISSELLO

Il contraddittorio obbligatorio, per gli atti emessi dal 1° luglio 2020, si scontra con la proroga dei termini di decadenza introdotta dalla legislazione emergenziale.

Da un lato, per effetto dell’art. 5-ter del DLgs. 218/97, gli avvisi di accertamento imposte sui redditi/IVA/IRAP (con alcune rilevanti eccezioni tra cui gli accertamenti parziali) devono essere preceduti dall’invito finalizzato all’accertamento con adesione. Ai sensi del comma 3-bis del precedente art. 5, “qualora tra la data di comparizione, di cui al comma 1, lettera b), e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni, in deroga al termine ordinario”.
Insomma, se il contraddittorio si instaura a ridosso di fine anno, il termine di decadenza può essere prorogato di centoventi giorni.

Dall’altro lato, bisogna considerare l’art. 157 del DL 34/2020, secondo cui ogni atto impositivo (avviso di accertamento, avviso di liquidazione, atti di contestazione/irrogazione delle sanzioni…) che scade tra l’8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020 può essere notificato entro il 31 dicembre 2021, sempre che l’emissione avvenga entro il 31 dicembre 2020.

Allora, il contraddittorio obbligatorio proroga i termini di decadenza di centoventi giorni (è ovvio che se c’è proroga l’emissione dell’atto avviene dopo il 31 dicembre 2020), la legislazione emergenziale (che ha introdotto la singolare scissione tra emissione e notifica) impone l’emissione entro fine anno.

È necessario chiedersi come si può risolvere la menzionata antinomia.
La soluzione maggiormente condivisibile sembra quella di far prevalere la proroga da contraddittorio obbligatorio sulla necessità che gli atti siano emessi a fine anno.
Se la data per l’incontro tra le parti è fissata a metà novembre, le trattative potranno proseguire anche per parte del 2021, e l’accertamento, se l’adesione non si stipula, potrà essere notificato, se il periodo è in scadenza (pensiamo al periodo d’imposta 2015), con la “tolleranza” dei centoventi giorni.
Non ha senso, in questo frangente, imporre l’emissione entro fine anno (ammesso che abbia senso in generale, ma questo è un altro discorso). Si introdurrebbe un irragionevole ostacolo a un eventuale accertamento con adesione.

In sostanza, la necessità di emettere l’atto entro fine anno opera per tutte le ipotesi in cui non intercorrono meno di novanta giorni tra data di comparizione e spirare del termine decadenziale, oltre che, ovviamente, per tutti i casi (senza limitazione alcuna) ove non c’è necessità di instaurare il contraddittorio obbligatorio.

Tale soluzione è avvalorata dal fatto che l’emissione “anticipata” a fine anno serve per “arrobustire” la tesi secondo cui l’art. 157 del DL 34/2020 è norma a favore dei contribuenti, nonostante comunque ci sia una proroga dei termini di decadenza; emettendo l’atto a fine anno si dovrebbe scongiurare una istruttoria che inizia, o termina, a periodo decaduto.
Questa esigenza non c’è quando le parti sono in trattativa per stipulare un’adesione.
Non a caso, lo stesso art. 157 del DL 34/2020 non opera quando la notifica dell’accertamento entro i termini serve per stipulare un’adesione o, a maggior ragione, in vista di un’acquiescenza; la norma prevede una deroga, a ben vedere un tantino confusa, “al fine del perfezionamento degli adempimenti fiscali che richiedono il contestuale versamento di tributi”.
Si pensi al contribuente che, ritenendo di accettare il rilievo che, a seguito di PVC, verrebbe recepito in accertamento, ha interesse ad ottenere subito l’atto in modo da cominciare a pagare le rate da acquiescenza di cui all’art. 15 del DLgs. 218/97 beneficiando del versamento rateale, non ammesso per il ravvedimento operoso.