In vigore dal 30 luglio il decreto attuativo della direttiva PIF che amplia il catalogo 231

Di Maria Francesca ARTUSI

Da domani il catalogo dei reati-presupposto “231” si amplierà ulteriormente.
È, infatti, prevista per il 30 luglio l’entrata in vigore del DLgs. 75/2020 – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio scorso – con cui è stata data attuazione alla legge delega 117/2019 che, a sua volta, seguiva la Direttiva “PIF” a tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea (direttiva Ue 1371/2017).

Per quanto riguarda i reati contro la Pubblica Amministrazione, l’art. 25 del DLgs. 231/2001 viene arricchito dai delitti di peculato e abuso d’ufficio (rispettivamente artt. 314 comma 1, 316 e 323 c.p.), per i quali viene prevista una sanzione pecuniaria fino a duecento quote.
Si noti che tali delitti devono – ovviamente – essere commessi nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica da parte di un soggetto apicale o sottoposto appartenente all’ente medesimo, secondo i principi generali della responsabilità prevista dal DLgs. 231/2001. Inoltre, il fatto deve offendere gli interessi finanziari dell’Unione; elemento che è destinato a limitare la portata applicativa della modifica in esame e che non era presente nell’originario schema di decreto.

Altra novità riguarda i reati tributari, di recente introdotti – dopo un dibattito di anni – nell’art. 25-quinquiesdecies del DLgs. 231/2001. Interessante è l’iter di tale introduzione: nella prima versione del DL 124/2019 si parlava unicamente della dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del DLgs. 74/2000). Con la conversione di tale decreto sono, invece, stati inseriti nel “catalogo 231” anche i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del DLgs. 74/2000), emissione di fatture false (art. 8 del DLgs. 74/2000), occultamento o distruzione dei documenti contabili (art. 10 del DLgs. 74/2000) e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 del DLgs. 74/2000).

Ora – con la nuova norma in esame – l’elenco si arricchisce delle fattispecie di infedele dichiarazione (art. 4 del DLgs. 74/2000), omessa dichiarazione (art. 5 del DLgs. 74/2000) e indebita compensazione (art. 10-quater del DLgs. 74/2000), purché siano commessi “nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro”. Lo schema di decreto faceva in realtà riferimento alla commissione dell’illecito “anche in parte nel territorio di altro Stato membro dell’UE”, mentre la versione definitiva – mantenendo il limite dei dieci milioni di euro di IVA evasa – concentra l’attenzione sui “sistemi fraudolenti trasfontalieri”. In tal modo viene richiesto un connotato di fraudolenza in relazione a delle condotte che, di per sé, potrebbero esserne prive, così da rendere più puntuale e diretta l’organizzazione di misure di prevenzione per le società.
Tra l’altro, parte della dottrina aveva criticato l’iniziale mancata ricomprensione tra i reati presupposto della dichiarazione infedele e omessa, proprio con riferimento alla necessità di far fronte efficacemente a condotte di evasione mediante esterovestizione societaria.

La pena prevista è la sanzione pecuniaria di 300 quote per l’infedele dichiarazione e 400 quote per gli altri due reati. Come per gli altri reati fiscali inseriti nell’art. 25-quinquiesdecies, è prevista una pena aggravata in caso di profitto di rilevante entità e l’applicabilità delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2 del DLgs. 231/2001.

Da ultimo, viene inserito l’art. 25-sexiesdecies dedicato ai reati di contrabbando disciplinati dal DPR 43/1973, a cui conseguono una sanzione pecuniaria fino a 200 quote (fino a 400 quando i diritti di confine superano i 100.000 euro) e le sanzioni interdittive del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi e del divieto di pubblicizzare beni o servizi (art. 9 comma 2 lett. c), d), e) del DLgs. 231/2001). Ciò in quanto si vuole apprestare una particolare tutela agli interessi finanziari dell’Ue connessi ai “diritti di confine”.

L’entrata in vigore di queste disposizioni testimoniano una volta di più come il legislatore guardi al DLgs. 231/2001 come strumento principale per l’affronto e la prevenzione della criminalità di impresa, intervenendo e ampliando i reati in esso previsti con sempre maggiore frequenza.
Conseguentemente, diviene necessario guardare ai modelli organizzativi in un’ottica di reale dinamicità rispetto alla vita dell’impresa e ai rischi connessi, prospettando aggiornamenti “lungimiranti” e guardando alla sostanza delle procedure, delle misure di prevenzione e dei sistemi di controllo quali fonti primarie per la mitigazione di tali rischi.