Credito d’imposta maturato durante il regime ordinario non compensabile col debito per imposta sostitutiva dell’anno successivo; va utilizzato l’F24

Di Nicola SEMERARO

A seguito della proroga disposta dal DPCM 27 giugno 2020, il 20 luglio sono scaduti i termini per il versamento del saldo 2019 e del primo acconto 2020 delle imposte sui redditi anche per i contribuenti aderenti al regime forfetario. Chi non ha ottemperato all’obbligo di versamento entro tale proroga, può alternativamente scegliere o di utilizzare l’istituto del ravvedimento operoso (con il pagamento della sanzione pari allo 0,1% per ogni giorno di ritardo entro i primi 14 giorni) o di procedere con il versamento maggiorato dello 0,4% entro il 20 agosto 2020. Spetta al contribuente valutare quale delle due opzioni, nel caso specifico, risulta essere la meno onerosa. Resta comunque la possibilità di richiedere la rateazione delle imposte dovute, a oggi applicabile in 4 rate con le seguenti scadenze: 20 agosto 2020; 16 settembre 2020; 16 ottobre 2020; 16 novembre 2020.

Se il contribuente forfetario disponesse di un credito e volesse usarlo, per versare le somme dovute ai fini delle imposte sostitutive, dovrebbe valutarne sia l’importo che la natura prima di procedere alla compensazione interna perché la stessa non è sempre permessa. Ipotizziamo che un esercente l’attività di libero professionista fosse nell’anno 2018 in regime ordinario, che in tale periodo avesse maturato un credito IRPEF superiore a 5.000 euro e che poi che nell’anno di imposta successivo, il 2019, decidesse di optare per il regime forfetario. Tale soggetto potrebbe trovarsi nella posizione di non aver versato acconti per il 2019 (poiché a credito) e di dover versare il saldo 2019 e l’acconto 2020 in vigenza del regime forfetario. Verrebbe d’istinto pensare che si possa compensare il credito del 2018 con il debito del 2019 in dichiarazione, ma così non è.

La ris. n. 110/2019 dell’Agenzia delle Entrate, nel fornire chiarimenti circa le “Modalità di presentazione dei modelli F24 contenenti crediti d’imposta utilizzati in compensazione”, di importo superiore a 5.000 euro, produce un elenco analitico dei crediti distinguendoli in base alla loro natura, indicando per ciascuno il relativo codice tributo e il tributo con cui possono essere utilizzati ai fini della compensazione “interna”.
Dal documento di prassi si evince che, nell’ipotesi in precedenza prospettata, il credito IRPEF del libero professionista, derivante dal periodo d’imposta 2018, sarebbe da indicare col codice tributo 4001 e che lo stesso può essere utilizzato in compensazione interna solo per il pagamento del saldo IRPEF (codice tributo 4001), del primo acconto IRPEF (codice tributo 4033) e del secondo acconto IRPEF (codice tributo 4034).
I codici tributo per pagare le imposte del contribuente forfetario risultano invece essere 1790, 1791 e 1792, rispettivamente utilizzabili per pagare il primo acconto, il secondo acconto e il saldo dell’imposta sostitutiva.

È evidente dalla lettura del documento di prassi che il contribuente forfetario non può utilizzare il credito di imposta, maturato durante il regime ordinario, in compensazione interna con il debito per imposta sostitutiva dell’anno successivo, ma dovrà necessariamente utilizzare il modello F24, dovendo quindi porre attenzione al limite massimo dei 5.000 euro oltre il quale è indispensabile verificare se la dichiarazione da cui emerge il credito è stata presentata da almeno 10 giorni ed è corredata dal visto di conformità.

La ris. n. 110/2019 mette implicitamente l’accento sulla diversa natura dell’imposta sostitutiva sui redditi (art. 1 comma 64 della L. 190/2014) dovuta dai soggetti forfetari e di quella dovuta dai contribuenti che applicano il regime ordinario di tassazione dettato dal TUIR. La posizione dell’Amministrazione sembra dovuta a un’interpretazione troppo rigida e letterale della norma, in pieno contrasto con la ratio legis alla base dell’istituto del forfetario, oltre che con le reali motivazioni che hanno spinto il legislatore a emanare provvedimenti c.d. restrittivi all’uso del credito in compensazione.
Nella sostanza il libero professionista, sia che operi in regime ordinario che in regime forfetario, produce sempre un reddito derivante dall’esercizio di una attività professionale, la differenza si sostanzia solo nel procedimento di determinazione della base imponibile e dell’aliquota applicata. Quello che risulta poco convincente è invece il mancato riconoscimento di pari “dignità” delle fattispecie in tema di compensazione interna nei termini sopra descritti.

Il passaggio dalla tassazione ordinaria al regime forfetario (e dal forfetario all’ordinario) è stato oggetto di numerosi documenti di prassi che tuttavia non hanno mai analizzato la questione. Tale problematica è il frutto di un vuoto normativo che andrebbe colmato, altre fattispecie infatti sono già previste e disciplinate dalla norma di riferimento, ad esempio l’utilizzo di perdite pregresse, salto e duplicazione d’imposta, componenti positivi e negativi, e imposta sul valore aggiunto.

L’auspicato intervento normativo o di prassi che conceda la possibilità di utilizzo “interno” del credito manifesta tutta la sua attualità. Infatti, è logico attendersi, a causa delle condizioni causate dalla pandemia, che la situazione sopra prospettata si amplifichi arrivando a interessare verosimilmente nel prossimo esercizio una platea molto vasta di contribuenti.