Il diritto è limitato solo dai principi di correttezza e buona fede e dal divieto di abuso

Di Maurizio MEOLI

Il socio non amministratore di una srl, la cui partecipazione sia oggetto di pignoramento, può esercitare i diritti di controllo previsti dall’art. 2476 comma 2 c.c., seppure con modalità tali da non recare intralcio alla gestione societaria ovvero da svantaggiare la società nei rapporti con imprese concorrenti.
Ad affermarlo è il Tribunale di Roma, in un provvedimento cautelare del 20 gennaio scorso.

Si osserva, innanzitutto, come l’art. 2352 c.c. preveda una “dissociazione” tra la titolarità della partecipazione sociale, con i connessi diritti, e la legittimazione all’esercizio degli stessi (ciò accade, in particolare, per il diritto di voto e per quello di opzione).
Secondo il giudice romano, tuttavia, tale dissociazione presenterebbe carattere eccezionale, trovando applicazione solo nei casi specificamente contemplati dal legislatore, mentre in tutte le ulteriori ipotesi opererebbe una legittimazione “concorrente”. Ciò accadrebbe, ad esempio, per il diritto di ispezione dei libri sociali e di esame del bilancio, il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea, il diritto di esercitare l’azione sociale di responsabilità e le azioni cautelari di revoca dell’amministratore e per il diritto di chiedere al Tribunale l’accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento.

Tutto ciò rileva anche in caso di pignoramento di partecipazioni. Il legislatore, infatti, nel disciplinarne modalità, forme ed effetti, non ha previsto che, in conseguenza della sottoposizione della quota al vincolo preordinato all’espropriazione forzata, al debitore esecutato, comunque ancora titolare della partecipazione sociale, sia inibito l’esercizio dei diritti connessi alla posizione rivestita. Pertanto, deve ritenersi operante il generale principio della stretta correlazione tra “proprietà” della quota e titolarità dei diritti amministrativi connessi.

D’altro canto – prosegue la decisione in commento – non sono ravvisabili ragioni per ritenere che, per effetto del pignoramento di una quota di partecipazione sociale, al socio debitore esecutato sia precluso l’esercizio dei diritti di controllo riconosciuti dall’art. 2476 comma 2 c.c., così come del potere di azione di responsabilità di cui al successivo terzo comma, trattandosi di diritti e azioni strumentali all’esigenza di preservare l’integrità del patrimonio sociale (operatività che non si pone in contrasto con gli interessi del creditore pignorante).

Tutto ciò, peraltro, sarebbe anche coerente con la funzione e con gli effetti sostanziali del pignoramento (ex art. 2913 c.c.), che – assoggettando i beni pignorati al soddisfacimento del diritto di credito – pone solo un vincolo di indisponibilità sugli stessi, ma senza privare il debitore – o il terzo assoggettato all’esecuzione – del diritto di goderne.

Analoghe indicazioni, si ricorda, sono state formulate dal Tribunale di Roma 27 aprile 2011, dove si è stabilito che, in ipotesi di pignoramento di partecipazioni, sia il socio sia il creditore pignorante possono ritenersi legittimati a esercitare, in concorso tra loro, l’azione di responsabilità e le azioni cautelari di revoca dell’amministratore. Si osserva, infatti, come non vi sarebbe motivo di escludere il diritto di esercitare l’azione di responsabilità dai “diritti amministrativi” di cui all’art. 2352 comma 6 c.c. (che prevede il concorso tra creditore pignorante e socio). Mentre il Tribunale di Catania 18 luglio 2019 ha precisato che, in caso di pignoramento di quota, spetterebbe al custode eventualmente nominato l’esercizio dei diritti sociali come il diritto di voto, ma non anche l’esercizio dell’azione di responsabilità, in quanto il custode della quota non può agire nell’interesse della società e a tutela del patrimonio di quest’ultima.

Il socio in questione, quindi, può esercitare il diritto di controllo di cui all’art. 2476 comma 2 c.c. Diritto che riguarda tutti i libri e documenti sociali attinenti all’amministrazione della società, è esercitabile personalmente o tramite professionista di fiducia, consente l’estrazione di copie a proprie spese e non tollera limitazioni di sorta, se non quelle connesse al rispetto dei principi di correttezza e buona fede oppure del divieto di abuso del diritto.

Ad ogni modo, sia che si richiami il limite generale derivante dai principi di correttezza e buona fede, sia che si invochi la figura dell’abuso del diritto, è certo, secondo il provvedimento in esame, che i soci non amministratori non possano esercitare i propri diritti di controllo con modalità tali da recare intralcio alla gestione societaria ovvero da svantaggiare la società nei rapporti con imprese concorrenti.

Una scelta meramente emulativa, vessatoria o antisociale, per tempi e modi dei controlli, infatti, farebbe trascendere questi ultimi dal loro scopo e farebbe sorgere in capo agli amministratori non una mera possibilità di opporsi alle richieste avanzate, ma un vero e proprio obbligo di farlo, considerato che essi potrebbero rendersi responsabili verso la società per l’indebito uso delle informazioni da parte del socio ai danni della società.