Nulla la clausola che dispone l’esclusione per inadempimento degli obblighi assunti verso la società

Di Maurizio MEOLI

Nella decisione giudiziale relativa all’esclusione di uno dei due soci (nella specie al 50%) di una srl, sulla base dell’art. 2287 comma 3 c.c., la società non è litisconsorte necessario. È da considerare nulla la clausola statutaria che si limiti a prevedere l’esclusione del socio che risulti inadempiente agli obblighi assunti nei confronti della società.
A precisarlo è il Tribunale di Bolzano, nella sentenza n. 399 del 6 maggio scorso.

In tema di esclusione del socio di srl, il legislatore, con l’art. 2473-bis c.c., non ha predisposto una disciplina specifica per il procedimento, né ha indicato l’organo competente ad adottare la relativa delibera.
Il tutto, quindi, è stato rimesso all’autonomia statutaria, che, una volta previste “specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio”, deve disciplinare, tra l’altro, le modalità di assunzione della delibera, l’organo competente, le maggioranze necessarie, la comunicazione della delibera al socio escluso, l’eventuale ricorso a strumenti di conciliazione preventiva, il termine entro il quale il socio escluso possa fare opposizione.

Eventuali lacune della disciplina pattizia possono certamente essere colmate attraverso il ricorso alla applicazione analogica di quanto espressamente previsto in altri contesti, ma avendo riguardo non solo alle società di capitali, bensì anche alle società di persone, considerati i marcati tratti personalistici che connotano la disciplina delle srl.
Nel caso di specie, in particolare, connotato da una srl con due soci al 50% ed una clausola di esclusione che, riprendendo l’art. 2287 comma 3 c.c., stabiliva che l’esclusione di uno di essi sarebbe stata pronunciata dal Tribunale su domanda dell’altro, l’interpretazione delle regole statutarie non può prescindere dai principi in materia di società di persone.

Nulla, peraltro, osserva il Tribunale di Bolzano, è sancito in ordine alla legittimazione passiva, né in ordine ad un litisconsorzio necessario nei confronti della società, ma solo con riguardo alla legittimazione attiva del socio, e non alla società.
Si ritiene, quindi, che la legittimazione passiva spetti al solo socio di cui si domanda l’esclusione, in quanto controparte del contratto costitutivo dell’ente, e non anche alla società, in capo alla quale la posizione di litisconsorte necessario non è rinvenibile né su ragioni di diritto sostanziale, configurabili quando in un giudizio costitutivo risulti dedotto un rapporto tra più di due parti, né di diritto processuale, configurabili nelle ipotesi di sostituzione processuale e in casi di opportunità pratica (nelle quali, in assenza di indicazioni del legislatore, rileva il c.d. criterio funzionale, da rinvenire nell’attuazione dello scopo pratico perseguito dall’attore e nell’interesse concreto delle parti).

In capo alla società non è ravvisabile alcun interesse a contraddire, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., e ad essa non possono derivare né vantaggi, né pregiudizi dalla decisione della causa.
Dalla configurazione bilaterale concretamente assunta dal contratto sociale e dalla conseguente controversia, poi, discende l’impossibilità di rinvenire una fattispecie di litisconsorzio necessario per ragioni di diritto sostanziale.
Neppure si può sostenere che il socio agisca quale sostituto della società, stante l’assenza di una legittimazione attiva di questa.

Nemmeno vale, infine, la considerazione secondo cui la risoluzione inciderebbe sul rapporto tra socio e società, con insorgenza, in capo a quest’ultima, dell’obbligo di liquidazione della quota del socio escluso che renderebbe indispensabile una sua partecipazione al giudizio per l’opponibilità dell’accertamento giurisdizionale e per evitare che la sentenza possa risultare inutile. La sentenza, infatti, è opponibile alla società in forza delle previsioni legali e statutarie che la individuano come fatto costitutivo della risoluzione parziale e dell’obbligo di liquidazione.

Quanto alla previsione statutaria secondo la quale può essere escluso per giusta causa il socio di srl che risulti inadempiente agli obblighi assunti nei confronti della società, la decisione in commento sottolinea come ricordi, senza peraltro riprenderne il requisito della “gravità”, la previsione dell’art. 2287 comma 1 c.c. Essa, tuttavia, è nulla, perché, essendo del tutto indeterminata, non può in alcun modo ritenersi conforme al canone della specificità imposto dall’art. 2473-bis c.c., abbracciando la totalità degli inadempimenti agli obblighi sociali, quali ne siano la fonte o la portata.

Si tratta di una soluzione già emersa nella giurisprudenza di merito. Il Tribunale di Roma n. 22271/2017, tra le altre decisioni, ha sottolineato come l’esclusione per giusta causa del socio di srl potrebbe aversi unicamente nel caso in cui lo statuto o l’atto costitutivo contengano un’espressa e specifica previsione in tal senso, e, comunque, solo laddove ricorrano le specifiche ipotesi di giusta causa statutariamente previste; diversamente, deve escludersi la possibilità di addivenire all’esclusione del socio per giusta causa, non potendosi ritenere applicabili in via analogica le disposizioni dettate con riferimento alle società di persone (cfr. anche Trib. Milano 5 settembre 2014 e 7 novembre 2013). La nullità della clausola, infine, rende inutile qualsiasi accertamento in ordine agli inadempimenti contestati.