Il giudice deve provare l’idoneità in concreto a ostacolare l’identificazione

Di Maria Francesca ARTUSI

Il reato di autoriciclaggio previsto dall’art. 648-ter.1 c.p. richiede, tra l’altro, che le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro o dei beni siano tali da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Sul tema dell’identificazione della concreta capacità dissimulatoria della condotta, la giurisprudenza di legittimità ha già affermato che le valutazioni debbono essere orientate da un criterio “ex ante”. In effetti, nel momento in cui in qualunque contesto di indagine sia identificata un’operazione finanziaria o imprenditoriale sospetta, si avrà una sorta di “emersione” dell’attività di occultamento, senza tuttavia che ciò possa escludere, a posteriori, il requisito della concretezza, a meno di non voler ridurre l’art. 648-ter.1 c.p. a un’incriminazione “impossibile” (Cass. n. 40890/2017). Proprio in applicazione di tali principi deve essere escluso che l’esistenza di operazioni tracciabili, l’emissione di fatture da parte delle diverse società e l’identificazione delle transazioni tra società comportino automaticamente l’esclusione della punibilità.

Sul medesimo tema torna la pronuncia n. 16059 depositata ieri, in relazione al reimpiego dei profitti di un reato di contraffazione (art. 473 c.p.), confluiti in una società sanmarinese e poi, in parte, trasferiti ad altra società, avente sede in Italia.
Tali operazioni, per i giudici, realizzavano quella concreta capacità dissumulatoria che può integrare il reato di autoriciclaggio, proprio perché muta la titolarità e il luogo di conservazione del profitto illecito.
Inoltre, anche per il rimanente importo del profitto illecito di produzione e commercializzazione di prodotti contraffatti (non trasferito ad altra srl) viene ritenuto sussistente il reato, in quanto tale denaro veniva reimpiegato costantemente attraverso “approvvigionamento di materiali, stampe, beni strumentali, spese di gestione e registrazione di marchi, pagamenti di stipendi” e quindi riversato nella prosecuzione di ulteriori attività illecite di carattere economico svolte dalla stessa società sanmarinese.

Per addivenire a tali conclusioni la pronuncia in commento richiama l’interpretazione che si è consolidata in materia di autoriciclaggio.
Il “cuore” del delitto in esame è rappresentato dalla reimmissione nel circuito dell’economia legale di beni di provenienza delittuosa (beninteso: ostacolandone la tracciabilità). L’idea di fondo riposa, infatti, sulla considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, quella che espone a pericolo o addirittura lede “l’ordine economico”. Il giudice penale dovrà pertanto valutare l’idoneità specifica della condotta posta in essere dall’agente a impedire l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni; idoneità che – come si è detto – deve essere valutata “in concreto”.

Il trasferimento o la sostituzione penalmente rilevanti sono quindi comportamenti che importano un mutamento della formale titolarità del bene o delle disponibilità o che diano altresì luogo a una utilizzazione non più personale, ma riconducibile a una forma di reimmissione del bene nel circuito economico.

Proprio applicando detti principi la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che non integra la condotta di autoriciclaggio il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un “quid pluris” che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene (cfr. Cass. n. 8851/2019).

È stato, altrettanto, escluso il reato nel caso del versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto (Cass. n. 33074/2016). Anche in relazione a contratti di affitto di un’azienda poi dichiarata fallita, è stato nuovamente precisato che l’atto distrattivo non può integrare, di per sé solo, bancarotta per distrazione e autoriciclaggio (Cass. n. 38838/2019).

Al contrario, nel caso di trasferimento di denaro ad altre imprese potrà ritenersi aggredito il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 648-ter.1 c.p. – che come si è detto è costituito dall’ordine pubblico economico – quando appare evidente che a cagione della possibilità di utilizzare profitti illeciti da parte di imprese operative il mercato si realizza l’effetto inquinante del reinvestimento del profitto illecito.
Allo stesso modo, se il trasferimento ad altre imprese è attuato con l’intestazione del profitto a un soggetto giuridico diverso, sia esso una persona fisica ovvero una società di persone o capitali, vi è la possibilità di identificare una condotta dissimulatoria proprio perché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca e individuazione del successivo trasferimento.