Per accertare il superamento, occorre procedere alla somma algebrica degli importi dei crediti inesistenti o non spettanti portati in compensazione

Di Maria Francesca ARTUSI

L’art. 10-quater del DLgs. 74/2000 sanziona chiunque non versi le somme dovute all’Erario, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del DLgs. 241/1997, crediti non spettanti o inesistenti, per un importo annuo superiore a 50.000 euro. Questa fattispecie è stata introdotta con il DL 223/2006, costituendo una novità rispetto alla previgente disciplina dei reati tributari ed è stata, poi, oggetto di modifiche ad opera del DLgs. 158/2015 (mentre è rimasta immutata a seguito del recente DL 124/2019 convertito).

Nella sentenza n. 14763, depositata ieri, la Cassazione evidenzia come l’inserimento di tale delitto fu dovuto a un mutamento di prospettiva rispetto alle linee portanti della riforma del 2000. Si constatò, infatti, che il settore della riscossione dei tributi (tasse, imposte e contributi) era quello maggiormente in sofferenza a causa della precarietà delle strutture e delle metodiche riscossive, cosicché la crescente rilevanza delle violazioni imperniate sull’omesso versamento dei tributi spinsero il legislatore verso una parziale riforma delle linee guida del DLgs. 74/2000.

La logica cui si ispira la fattispecie dell’indebita compensazione appare, in effetti, profondamente diversa da quella caratterizzante l’impianto sistematico del 2000, accostandosi, piuttosto, a quella del previgente assetto penal-tributario, nel quale la tutela era diretta in via immediata, alle mere funzioni.

Nelle argomentazioni della pronuncia in commento si legge che la formulazione letterale della norma e la ratio dell’incriminazione consentono alla fattispecie delittuosa di atteggiarsi come strumento di tutela concernente tutte le tipologie di tributi erariali e locali cui si riferisce l’art. 17 del DLgs. 241/1997. Pertanto, il delitto di indebita compensazione appresta tutela all’interesse al versamento di determinati tributi, pregiudicato dalla violazione della procedura di compensazione e, quindi, anticipa il momento di rilevanza penale alla mera violazione di detta procedura.

Va altresì ricordato che il reato in questione, originariamente, non contemplava differenze tra indebite compensazioni effettuate mediante crediti non spettanti o attraverso crediti inesistenti; distinzione introdotta dalla riforma del DLgs. 158/2015, che oltre a differenziare, sul piano sanzionatorio, le compensazioni eseguite mediante crediti non spettanti da quelle realizzate attraverso l’utilizzo di crediti inesistenti (punite più severamente), ha introdotto una soglia di rilevanza penale espressa, pari, per entrambe le ipotesi, a 50.000 euro annui.

Su questa soglia di punibilità si sofferma la pronuncia in esame, ritenendo che la stessa vada riferita all’ammontare dei crediti non spettanti utilizzati per le compensazioni indebite, con la conseguenza che, per accertare il superamento della soglia, occorre procedere alla somma algebrica degli importi dei crediti inesistenti o non spettanti portati in compensazione.

Come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 35/2018, il delitto di indebita compensazione presenta un evidente tratto differenziale rispetto agli altri delitti in materia di omesso versamento delle imposte: la condotta esprime, infatti, una componente decettiva o di frode e il disvalore dell’azione consiste nella redazione di un “documento ideologicamente falso”, mediante l’abusivo utilizzo dell’istituto della compensazione in materia tributaria disciplinato dall’art. 17 del DLgs. 241/97.

Ne consegue che la soglia di rilevanza penale, come modificata dal DLgs. 158/2015, non va riferita alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non versate per effetto della indebita compensazione, bensì all’ammontare dei crediti non spettanti o inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione, come si ricava dalla ratio e dallo scopo della fattispecie, sopra delineate.

È, pertanto, la normativa tributaria contenuta nel citato art. 17 che – espressamente richiamato in tutta la sua estensione, senza distinzione tra tipologie di tributi ivi indicati – costituisce la chiave ermeneutica per definire l’ambito di operatività della fattispecie incriminatrice ex art. 10-quater del DLgs. 74/2000.

Tutta questa ampia e accurata ricognizione della disciplina penale sull’indebita compensazione serve ai giudici di legittimità per confermare un decreto di sequestro preventivo, sia in via diretta che per equivalente, nei confronti di un soggetto che opponeva – appunto – il mancato superamento della soglia di punibilità.
Tale sequestro era, infatti, stato ordinato dal Tribunale prendendo in considerazione sia debiti tributari, sia debiti di altra natura, ad esempio contributiva, e calcolando di conseguenza la soglia di rilevanza penale per diversi anni di imposta.