La Cassazione reputa compatibili dolo specifico di evasione e dolo eventuale

Di Maurizio MEOLI

È configurabile il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 del DLgs. 74/2000, anche in caso di dolo eventuale, da intendersi come “lucida” accettazione, da parte dell’agente, dell’evento lesivo, e quindi anche del fine di evasione o di indebito rimborso, come conseguenza della condotta.
Ad affermarlo è la Cassazione nella sentenza n. 12680/2020 (ma si veda anche Cass. n. 52411/2018).

La questione problematica che si pone alla base di tale affermazione è rappresentata dalla compatibilità tra il dolo eventuale e il dolo specifico (di evasione), richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000; problematica che risulta discendere non da specifici divieti legislativi, ma dal contenuto che deve caratterizzare il dolo eventuale, ovvero dalla capacità dello stesso di comprendere o meno anche il fine richiesto per l’integrazione del reato.

Importanti indicazioni al riguardo sono tratte dalle sentenze nn. 12433/2010 e 38343/2014 delle Sezioni Unite. Nella prima, in tema di ricettazione, da un lato, si configura il dolo eventuale in relazione a un reato a dolo specifico (la ricettazione, appunto, nella quale il reo deve agire “al fine di procurare a sé ad altri un profitto”), e, dall’altro, si evidenzia come la nozione di dolo eventuale si connoti per un pregnante contenuto rappresentativo e volitivo, non riducibile alla mera accettazione del rischio, ma implicante la necessaria accettazione dell’evento stesso quale conseguenza della condotta dell’agente. Nella seconda, relativa al noto caso Thyssen Krupp, si è sottolineata la necessità di comprendere se l’agente si sia lucidamente raffigurato la realistica prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto costituente effetto collaterale della sua condotta, si sia per così dire confrontato con esso e, infine, dopo aver tutto soppesato, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia consapevolmente determinato ad agire comunque, ovvero ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa. Rileva, quindi, che nella scelta d’azione sia ravvisabile una consapevole presa di posizione di adesione all’evento, che consenta di scorgervi un atteggiamento ragionevolmente assimilabile alla volontà, sebbene da essa distinto.

La decisione in commento sottolinea ora come da tali enunciati emerga un dolo eventuale caratterizzato da un contenuto rappresentativo e volitivo tale da “includere”, in termini di effettività e concretezza, anche la specifica finalità richiesta per l’integrazione della fattispecie in questione. Se, infatti, ai fini della configurabilità del dolo eventuale, l’agente deve “lucidamente” raffigurarsi il fatto lesivo quale conseguenza della sua condotta e deve, inoltre, consapevolmente determinarsi ad agire comunque, accettando compiutamente la verificazione di tale fatto lesivo, sarebbe ragionevole concludere che il medesimo agente, nella situazione indicata, pone in essere la sua condotta nella piena consapevolezza che questa potrà realizzare anche la specifica finalità richiesta dalla legge (e, quindi, nell’attivarsi accettandola, la farebbe propria).

Ai fini dell’accertamento del dolo, poi, un ruolo decisivo è svolto dagli elementi indiziari. E infatti, la Cassazione a Sezioni Unite n. 38343/2014 ha precisato come a orientare in tale direzione possano essere, tra gli altri, i seguenti elementi: la lontananza da condotte standard/doverose, perché quanto più grave ed estrema risulta la colpa tanto più si fa strada una cauta considerazione della prospettiva dolosa; la durata e la ripetizione della condotta, perché solo un comportamento repentino e impulsivo accredita l’ipotesi di un’insufficiente ponderazione di certe conseguenze illecite, mentre una condotta lungamente protratta, studiata, ponderata, basata su una completa ed esatta conoscenza e comprensione dei fatti, apre realisticamente all’ipotesi che vi sia stata previsione e accettazione delle conseguenze lesive; la condotta successiva al fatto, perché la fattiva e spontanea opera soccorritrice può aver peso nell’accreditare un atteggiamento riconducibile alla colpa e non al dolo eventuale; il fine della condotta, ovvero la sua motivazione di fondo, e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali (ovvero la congruenza del “prezzo” connesso all’evento non direttamente voluto rispetto al progetto d’azione).

Questi elementi – tra quelli individuati dalle Sezioni Unite – sono reputati correttamente ravvisati dalla decisione in commento nel caso di specie; quanto meno in ragione del contesto cautelare venuto in rilievo.
In particolare: la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa, stante l’assenza di qualunque accertamento sui fornitori per quanto avessero erogato beni per importi rilevanti; la durata e la ripetizione dell’azione, articolatasi in più forniture nell’arco di un anno e in rapida successione con due ditte formalmente diverse; il comportamento successivo al fatto, con l’immediata cessazione dei rapporti in coincidenza con eventi significativi, come la verifica fiscale ai danni di uno dei fornitori; il fine della condotta, teso a conseguire un risparmio di spesa, e la compatibilità di esso con le conseguenze collaterali della condotta, ossia l’accettazione del fatto di utilizzare fatture false.