Il Notariato propone una lettura dell’art. 116 del DLgs. 14/2019 tesa a risolverne le molteplici criticità

Di Maurizio MEOLI

Il Consiglio nazionale del Notariato, con lo Studio n. 32-2020/I, si sofferma sulle criticità interpretative determinate dall’art. 116 del DLgs. 14/2019, sulle operazioni di fusione, scissione e trasformazione “concordatarie” (ovvero strumentali all’attuazione del piano di un concordato preventivo) senza nascondere critiche al legislatore, per lo “scarso nitore della formulazione letterale”, che costringe l’interprete ad uno sforzo, “forse vano”, di puntualizzare i tratti della disciplina.

Ai sensi dell’art. 116 del DLgs. 14/2019 – sul quale l’ormai prossimo decreto correttivo non è destinato ad intervenire – prevede che, ove il piano concordatario contempli il “compimento”, durante la procedura oppure dopo la sua omologazione, di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, la validità di queste può essere contestata dai creditori solo con l’opposizione all’omologazione. A questo fine, il Tribunale, nel provvedimento di fissazione dell’udienza, dispone che il piano sia pubblicato nel Registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società interessate dalle operazioni di trasformazione, fusione o scissione.

Tra la data della pubblicazione e l’udienza devono intercorrere almeno 30 giorni. Gli effetti delle operazioni di cui sopra, in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, sono irreversibili, salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi ex artt. 2500-bis comma 2, 2504-quater comma 2 e 2506-ter comma 5 c.c. Trovano applicazione, “in quanto compatibili”, le disposizioni contenute in materia nel codice civile.

Si suggerisce di interpretare il comma 1 dell’art. 116 alla luce della ratio della previsione normativa (assicurare la stabilità del concordato) e, quindi, nel senso che lo strumento dell’opposizione all’omologazione avrebbe, in realtà, la funzione di sostituire l’opposizione dei creditori prevista dall’art. 2503 c.c. (e quella di cui all’art. 2500-novies c.c.), poiché unico istituto che può mettere in crisi l’attuazione delle operazioni per un interesse individuale del creditore. La norma risulterebbe così coerente con il mandato conferito dall’art. 6 comma 2 della L. n. 155/2017 e conforme alla soluzione già prospettata dalla Corte d’Appello di Roma n. 2043/2019.

Peraltro, se la norma è volta a consegnare ai creditori uno strumento alternativo alla sola opposizione ex art. 2503 c.c. (ed ex art. 2500-novies c.c.), che è necessariamente preventiva rispetto all’efficacia della fusione (come della scissione o della trasformazione), ne deriva che non può rientrare nel novero di tali fattispecie la fusione (la scissione o la trasformazione) che è compiuta, cioè completata ai sensi dell’art. 2504-ter c.c., prima dell’omologazione, previa autorizzazione dei competenti organi della procedura. Quindi, le fattispecie previste nell’art. 116 si riducono alle operazioni ad attuazione condizionata all’omologazione del concordato ed a quelle da “compiere” integralmente dopo il concordato. Ne consegue, inoltre, che i termini per l’opposizione non decorrono più dall’iscrizione nel Registro delle imprese delle delibere di approvazione del progetto, ma dalla pubblicazione nel Registro del provvedimento di fissazione dell’udienza per l’omologazione del concordato, che deve essere pubblicizzato almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza (con conseguente, anche notevole, dilatazione, correlata al concreto dispiegarsi della procedura di concordato preventivo).

Si osserva, poi, come il comma 2 dell’art. 116 farebbe presumere che i creditori privati del diritto di opposizione ex art. 2503 c.c. siano tutti i creditori di tutte le società coinvolte nella fusione o nella scissione prevista dal piano. Si suggerisce, peraltro, una lettura meno radicale, prospettandosi una preclusione ad esercitare l’opposizione ex art. 2503 c.c. operante solo verso i creditori della società in concordato, ma non verso i creditori delle altre società, rispetto ai quali la pubblicità del piano ha valore di mera pubblicità notizia per consentire loro, se lo ritengono, di opporsi all’omologazione, in quanto interessati, senza perdere tuttavia le prerogative di diritto comune.

Lo Studio, infine, si sofferma sulla problematicità della generica inclusione dell’operazione di trasformazione tra quelle che legittimano l’opposizione, considerando che la conservazione delle garanzie patrimoniali anteriori al mutamento organizzativo (ex art. 2500-quinquies c.c.) esclude la possibilità di effetti pregiudizievoli, tranne che in caso di trasformazione eterogenea, rispetto alla quale i creditori sono dotati di un diritto di opposizione (ex art. 2500-novies c.c.) analogo a quello previsto in caso di fusione (o di scissione). Inoltre, l’art. 2499 c.c. prevede che “può farsi luogo alla trasformazione anche in pendenza di procedura concorsuale, purché non vi siano incompatibilità con le finalità o lo stato della stessa”, sottoponendo l’operazione ad una valutazione preventiva degli organi della procedura concorsuale in ordine alla sua convenienza ed alla sua coerenza con la procedura medesima. Ne consegue la proposta di una delimitazione della fattispecie “trasformazione” a cui si applica, per quanto compatibile, l’art. 116, alla sola trasformazione eterogenea.