Per la Suprema Corte non è doppia imposizione giuridica la mancata deduzione dei compensi e la loro tassazione in capo agli amministratori

Di Alessandro COTTO

La sentenza della Cassazione n. 4400 depositata ieri merita di essere segnalata non tanto perché ribadisce un principio consolidato, in base al quale i compensi degli amministratori sono deducibili solo se deliberati, quanto piuttosto perché conferma che la mancata deduzione del costo, a fronte della tassazione in capo all’amministratore non configura una doppia imposizione giuridica.

Anche se il criterio di deducibilità dei compensi degli amministratori è da tempo ancorato al solidissimo principio di cassa che consente di dedurre solo i compensi pagati, si registra ancora un cospicuo contenzioso sulla materia.
Volendo escludere le ragioni di gettito, non vi dovrebbe essere un motivo per il Fisco per accanirsi su irregolarità di natura  formale, posto che quanto dedotto dalla società è tassato dall’amministratore.
Eppure, almeno a giudicare dalla giurisprudenza, basta un errore nella delibera per far scattare la contestazione sulla deducibilità del costo.

Nel caso di specie una spa aveva un consiglio di amministrazione composto da quattro amministratori (anche soci), tutti e quattro delegati.
La sentenza su questo specifico punto non si sofferma ulteriormente, ma per le società di minori dimensioni a ristretta base proprietaria può succedere che i soci amministratori si ripartiscano le deleghe in base alla concreta attività svolta, suddividendo, ad esempio, l’attività amministrativa, da quella commerciale, da quella produttiva.
Si tratta di deleghe distinte la cui legittimità non sembra porsi in dubbio, ancorché la Cassazione su questo specifico punto mostri qualche esitazione.

Secondo i giudici, infatti se tutti i consiglieri fossero amministratori delegati non si capirebbe come si potrebbero attuare altre previsioni dell’art. 2381 c.c., per esempio, gli obblighi del comma 3 e del comma 5 della stessa norma.
Sul piano strettamente civilistico l’approccio non pare sempre condivisibile, posto che occorre verificare in concreto la portata delle singole deleghe le quali non necessariamente potrebbero far venir meno il ruolo del consiglio di amministrazione. In tal senso si era anche espressa una risalente giurisprudenza, affermando che è nulla la previsione statutaria che conferisca a tutti i componenti del CdA ogni potere amministrativo (Trib. Milano 14 novembre 1977), implicitamente ammettendo la configurabilità di deleghe distinte a ciascun amministratore.

Ai fini fiscali la questione potrebbe avere una certa rilevanza in quanto, come si evince dalla sentenza in commento, secondo la Commissione tributaria regionale impugnata, le remunerazioni da riconoscersi agli amministratori delegati non potevano essere deliberate dal consiglio di amministrazione ai sensi dell’art. 2389 comma 2 c.c. in quanto tutti i componenti erano amministratori delegati.

Secondo il richiamato art. 2389 c.c., la remunerazione “degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale”.
Quindi, dal momento che per soli due amministratori delegati erano stati previsti dal consiglio di amministrazione compensi aggiuntivi, la C.T. Reg. aveva ritenuto che non si potesse applicare l’art. 2389.

Su questo punto specifico la Cassazione non si pronuncia in quanto si accorge che nell’avviso di accertamento viene indicato che il compenso aggiuntivo pagato ai due amministratori nell’anno n oggetto di verifica era stato deliberato, in realtà, per l’anno n+1.

Così, secondo la sentenza in esame, “anche a volere ammettere la possibilità che tutti i consiglieri di amministrazione siano nominati amministratori delegati e che ad alcuni di questi ultimi sia riconosciuta una remunerazione speciale”, i compensi in questione non sono deducibili in quanto non deliberati.

Un secondo aspetto rilevante affrontato dalla Cassazione riguarda la violazione del divieto di doppia imposizione previsto nel nostro ordinamento dall’art. 67 del DPR 600/73 e dall’art. 163 del TUIR.
Qui la Cassazione ha gioco facile nell’affermare che la mancata deduzione dei compensi da parte della società e la tassazione degli stessi in capo ai soci non integrano una doppia imposizione giuridica in quanto il presupposto della tassazione è diverso.
Si tratta di un rilievo ineccepibile sul piano formale, ma che suscita perplessità sul piano sostanziale, posto che la doppia imposizione economica è evidente e, con i tempi della giustizia tributaria, senza rimedio.

In altre occasioni, quando erano in gioco gli interessi erariali, la giurisprudenza della Suprema Corte non ha esitato a svolgere una forma di supplenza rispetto alle lacune normative (si pensi all’abuso del diritto).
La questione avrebbe meritato qualche sforzo in più, approfondendo, ad esempio, la natura fiscale delle somme attribuite agli amministratori che, in difetto di un obbligo giuridico (la delibera), potrebbero essere riqualificate come attribuzioni fiscalmente irrilevanti.