Le dimissioni non possono, di per sé, valere a escludere eventuali responsabilità

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 32397, depositata ieri, con riguardo alla previgente disciplina, ha confermato che i sindaci, pur non figurando tra i legittimati attivi, in presenza di gravi irregolarità non diversamente rimediabili, avrebbero potuto (e dovuto) presentare denunzia al pubblico ministero, consentendogli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.
In ogni caso, poi, e a prescindere dalla disciplina in concreto applicabile, deve considerarsi che non è possibile pensare di esimersi da qualsiasi responsabilità presentando le proprie dimissioni, senza avere prima diligentemente osservato gli obblighi di legge.

Con particolare riguardo al primo profilo, attinente, si ribadisce, alla previgente disciplina, si ricorda, innanzitutto, come già la Cassazione 11 novembre 2010 n. 22911 abbia precisato che – dovendo il comportamento dei sindaci ispirarsi al dovere di diligenza proprio del mandatario (secondo la formulazione del previgente art. 2407 comma 1 c.c.) o comunque essere improntato al principio di correttezza e buona fede – non potesse esaurirsi nel solo espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, configurandosi l’obbligo di adottare ogni altro atto necessario per l’assolvimento dell’incarico, come la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate, ma anche, ricorrendone gli estremi, la denuncia al pubblico ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.

Tale decisione, peraltro, si è posta lungo la strada già tracciata dalla Cassazione 17 settembre 1997 n. 9252. Secondo quest’ultima sentenza, infatti, una volta riconosciuto che buona fede e correttezza hanno la funzione di concorrere a stabilire il contenuto della prestazione esigibile, diviene meramente nominalistica la questione se il criterio della diligenza rimanga esterno alla determinazione del contenuto dell’obbligazione (che si precisa soltanto alla stregua della regola di correttezza), posto che l’obbligo, così individuato, va comunque sottoposto, ai fini del giudizio di responsabilità, a una valutazione in termini di diligenza (o meglio che, una volta intervenuto il fatto impeditivo dell’adempimento, la valutazione della condotta del debitore a una stregua di diligenza, sarà uno dei criteri di imputabilità del fatto al debitore).

Ed è sulla base di tali precisazioni che si specificava come, in situazioni di riscontrate gravi irregolarità e illegittimità di tipo gestionale, la sperimentata (e non solo ipoteticamente configurabile) insufficienza dei rimedi interni alla società non valesse, di per sé, a determinare la non imputabilità all’organo sindacale di un simile fatto impeditivo dell’efficace adempimento del dovere di controllo sull’amministrazione della società.

Infatti, non essendo dubbia la legittimazione del sindaco (non già a promuovere il procedimento di cui all’art. 2409 c.c. bensì) a denunziare la irregolarità al pubblico ministero affinché fosse questo a esercitare i poteri di iniziativa che gli spettavano, anche una tale iniziativa finiva per diventare doverosa, quando fosse rimasta, davvero, l’unica praticabile in concreto, per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, o interrompere la successione di comportamenti contra legem pregiudizievoli per il patrimonio sociale.
Rilevava, a tal fine, la diretta incidenza del rimedio così esperibile non sulla tutela di interessi in qualche modo esterni alla società, ma proprio sulla legalità e correttezza dell’azione sociale, nell’interesse della società stessa; quali valori istituzionalmente affidati anche ai sindaci.

Si tenga presente, inoltre, che, ai sensi del vigente ultimo comma dell’art. 2409 c.c., i provvedimenti previsti in materia di controllo giudiziario possono oggi essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione.
Tale potere, poi, è stato recentemente restituito sia ai soci che all’organo di controllo di srl, dopo che la riforma del diritto societario ne aveva comportato una discutibile (e discussa) abrogazione (almeno con riguardo all’organo di controllo). L’art. 379 comma 2 del DLgs. 14/2019, infatti, a decorrere dal 16 marzo 2019, ha inserito un ultimo comma nell’art. 2477 c.c., ai sensi del quale le disposizioni dell’art. 2409 c.c. si applicano anche se la srl è priva di organo di controllo.

Con riguardo, infine, al profilo attinente alla valenza da riconoscere alla condotta del sindaco che, a fronte di evidenti attività illecite degli amministratori, si limiti a rassegnare le proprie dimissioni, si ribadisce il principio espresso dalla Cassazione 12 luglio 2019 n. 18770, secondo il quale le dimissioni non costituiscono mai condotta di adempimento del dovere, né sufficiente a esimere da responsabilità, quando a ciò non si accompagnino anche concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti, per la pregnanza degli obblighi assunti dai sindaci proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui, e perché la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo: equivalendo allora le dimissioni a una sostanziale inerzia e, anzi, divenendo esemplari della condotta colposa e “pilatesca” tenuta dal sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalità reiterata.