Non rilevano le condotte dissimulatorie poste in essere prima del 1° gennaio 2015 anche se esplicano successivamente i loro effetti

Di Maria Francesca ARTUSI

Il reato di autoriciclaggio previsto dall’art. 648-ter.1 c.p. richiede il reimpiego del provento di un qualsiasi delitto non colposo, in modo da ostacolarne concretamente l’identificazione della provenienza.
Tra i reati presupposto per tale illecito possono, dunque, essere annoverate anche le condotte di bancarotta previste dagli artt. 216 ss. del RD 267/1942.

Proprio questo è il caso affrontato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 44198 depositata ieri, in cui, secondo l’accusa, l’amministratore di una srl, avendo commesso il delitto di bancarotta fraudolenta societaria per distrazione, aveva poi reimpiegato nelle attività imprenditoriali di una nuova società, appositamente costituita, l’azienda distratta in danno della fallita. Circostanza che consentiva anche la contestazione della responsabilità ex art. 25-octies del DLgs. 231/2001 nei confronti della società che ne aveva tratto beneficio.

La duplice questione di diritto che emerge da tale vicenda riguarda, da un lato, la delimitazione delle condotte poste in essere (distrazione e reimpiego), dal momento che l’art. 648-ter.1 c.p. richiede un elemento decettivo aggiuntivo rispetto all’illecito che dà origine al provento; dall’altro, la corretta individuazione del momento consumativo dell’autoriciclaggio.

Sul punto, la Cassazione ricorda che ritenere che il delitto presupposto abbia in sé l’idoneità ad occultare la provenienza delittuosa del bene e, quindi, non necessiti di ulteriori particolari accorgimenti dissimulatori, altro non significa che confondere ed assimilare, facendoli coincidere, l’elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta con quella di autoriciclaggio che, però, richiede condotte, logicamente e cronologicamente, differenti rispetto a quella del reato presupposto, oltre che accorgimenti dissimulatori volti ad ostacolare l’identificazione della provenienza dei beni.

Del resto, come si è detto, la norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni o altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano però la caratteristica precipua di essere idonee a ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa; formulazione che induce a ritenere che si tratti di fattispecie di pericolo concreto (cfr. Cass. n. 30401/2018).

La riprova della necessità di questo “quid pluris” si ricava proprio osservando i rapporti tra autoriciclaggio e bancarotta: il ritenere punibile come autoriciclaggio il mero trasferimento delle somme distratte verso imprese finirebbe per sanzionare penalmente due volte la stessa condotta, generando un’ingiustificata sovrapposizione punitiva tra la norma sulla bancarotta e quella di cui all’art. 648-ter.1 c.p. (Cass. n. 8851/2019).

In tema di individuazione del momento consumativo, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare – anche se con riferimento all’analoga fattispecie di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) – che l’illecito si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche (sostituzione, trasferimento o altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilità), non essendo invece necessario che il compendio “ripulito” sia restituito a chi l’aveva movimentato (Cass. n. 1857/2017).

Tutto ciò premesso, i giudici di legittimità non ritengono contestabile nel caso di specie il reato di autoriciclaggio, perché il fatto risulta essere stato compiuto prima dell’introduzione della previsione normativa che ha codificato la fattispecie penale di cui all’art. 648-ter.1 c.p. attraverso la L. 186/2014 in vigore dal 1° gennaio 2015. Invero, l’autoriciclaggio è reato che si consuma nel momento in cui l’autore del reato presupposto pone in essere le condotte di impiego, sostituzione o trasformazione del denaro o dei beni costituenti oggetto materiale del delitto presupposto ed è quindi fattispecie essenzialmente istantanea.

Se, dunque, è corretto affermare che ad ogni operazione di impiego dell’azienda distratta sia conseguita una condotta rilevante ai fini dell’autoriciclaggio, tuttavia, quando tali condotte siano state tutte consumate antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 648-ter.1 c.p., le stesse non risultano punibili. Né può rilevare in senso contrario la durata dei contratti stipulati ovvero l’aggiudicazione di appalti in capo all’azienda fraudolentemente trasferita.
Viene, così, respinta la tesi del Pubblico Ministero volta a ritenere l’autoriciclaggio quale reato avente natura “eventualmente di durata”.