La Cassazione tiene conto dell’art. 320 del DLgs. 14/2019 evidenziandone il rilievo ai fini interpretativi

Di Maria Francesca ARTUSI

Il tema della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare un provvedimento di sequestro preventivo disposto dopo la dichiarazione di fallimento di una società continua ad essere dibattuto in giurisprudenza.

Interessante è la sentenza n. 37638, depositata ieri dalla Cassazione, che nelle proprie argomentazioni ha voluto tenere conto dell’art. 320 del nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (DLgs. 14/2019) rubricato, appunto, “la legittimazione del curatore”. Si noti che tale disposizione – come la maggior parte delle altre norme del decreto citato – entrerà in vigore solo il prossimo 15 agosto 2020; tuttavia, i giudici di legittimità ne evidenziano il rilievo a fini interpretativi, ritenendo che si tratti di “una disposizione normativa chiara, che pare essere decisiva rispetto al tema in esame e che in qualche modo sembra evidenziare il mancato recepimento da parte del legislatore dei principi affermati dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza Uniland” (Cass. n. SS.UU. 11170/2014).

Non diversamente l’art. 317 dello stesso DLgs. 14/2019, rubricato “principio di prevalenza delle misure cautelari reali e tutela dei terzi”, sembra obiettivamente estendere la previsione della legittimazione del curatore anche con riguardo alle misure di prevenzione (disciplinate dal DLgs. 159/2011).
Il caso affrontato dalla pronuncia in commento atteneva, in particolare, alla richiesta di riesame proposta dal curatore fallimentare di una srl, avente ad oggetto il decreto di sequestro preventivo disposto ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 53 del DLgs. 231/2001, di un immobile della stessa società quale equivalente del profitto derivante dal reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p. e art. 24 del DLgs. 231/2001).

Le Sezioni Unite sopra richiamate hanno in proposito statuito che la confisca obbligatoria trova l’unico limite di applicabilità nella “appartenenza” del bene sequestrato ad una persona estranea al reato, ma non anche nella sussistenza di un diritto di credito che potrebbe essere soddisfatto mediante il bene in sequestro. Il creditore che non abbia ancora ottenuto l’assegnazione del bene a conclusione della procedura concorsuale non può assolutamente essere considerato terzo titolare di un diritto acquisito in buona fede perché prima di tale momento egli vanta una semplice pretesa, ma non certo la titolarità di un diritto reale su un bene; perciò, legittimamente, su quei beni potranno insistere il sequestro penale prima e la confisca poi.

Da tale presupposto si è negata al curatore fallimentare la legittimazione a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita. Il curatore sarebbe, secondo tale linea interpretativa, un soggetto terzo rispetto al procedimento cautelare, non titolare di diritti (di proprietà) sui beni in sequestro, né “rappresentante” dei creditori, a loro volta non titolari di alcun diritto sui beni prima della assegnazione degli stessi e della conclusione della procedura concorsuale; il curatore sarebbe, cioè, un organo che svolge una funzione pubblica ed affianca il tribunale ed il giudice delegato per il perseguimento degli interessi dinanzi indicati.

Tornando, però, alla pronuncia in commento, questa sottolinea che, se la dichiarazione del fallimento precedente al sequestro può, forse, non essere sufficiente a conferire al fallimento stesso la disponibilità dei beni del fallito (i quali, nel caso in cui ne sia stato anteriormente disposto il sequestro, non sono già più, logicamente, disponibili da parte dell’indagato, neppure ai fini degli interessi fallimentari), a diverse conclusioni deve giungersi nel caso in cui il provvedimento cautelare sia temporalmente successivo alla detta dichiarazione.

Se, infatti, può astrattamente sostenersi che il fallimento non acquisisca la disponibilità dei beni già sottoposti a sequestro preventivo penale finalizzato a confisca – onde non può a tale potere fattuale “aggrapparsi” il curatore (ferma restando la connessa ma distinta questione se, anche in tali casi, il curatore abbia legittimazione a proporre riesame in quanto soggetto a cui le cose sarebbero restituite) – differente è la situazione del sequestro preventivo di beni già sottoposti a procedura fallimentare.

Viene così affermata, nel caso di sequestro preventivo successivo alla dichiarazione di fallimento, la sussistenza di un concreto interesse del curatore ad impugnare un provvedimento di sequestro penale, in quanto costui ha sui beni fallimentare un potere di fatto corrispondente ad una relazione sostanziale e strettamente correlato alla natura ed alle funzioni, di derivazione pubblicistica (artt. 31 e 42 del RD 267/1942).