Prospetto delle società di comodo a ostacoli per le fusioni

Norme sulle società non operative e in perdita sistematica da adeguare al particolare contesto dell’aggregazione delle aziende

Di Gianluca ODETTO

La prassi dell’Agenzia delle Entrate non ha mai esaminato in modo espresso le conseguenze della fusione tra due società ai fini della disciplina delle società non operative e in perdita sistematica.

In linea di principio, si deve ritenere che la successione dell’incorporante nelle posizioni (anche fiscali) dell’incorporata prevista dall’art. 2504-bis c.c. comporti, per le fusioni perfezionate nel 2018:
– da un lato, la necessità di sommare algebricamente redditi e perdite delle due società dichiarati per i periodi dal 2013 al 2017 al fine di valutare se, per il 2018, la società incorporante sia o meno di comodo in quanto “in perdita sistematica”;
– in secondo luogo, la necessità di verificare le cause di esclusione con riferimento alla posizione dell’incorporante stessa (salvo che esse facciano riferimento a situazioni da valutare anche negli esercizi passati, come ad esempio succede per il numero dei lavoratori subordinati).

Prendendo ad esempio le fusioni non retrodatate, in linea generale si può affermare che, sino al giorno antecedente alla data di efficacia giuridica della fusione, la società incorporata sopravvive quale entità a sé stante, ed è tenuta a rispettare tutti gli obblighi fiscali in qualità di società autonoma; essa è, quindi, soggetta alle normative sulle società non operative e sulle società in perdita sistematica. Sul punto, va ricordato che secondo la C.M. n. 48 del 26 febbraio 1997, il periodo di durata inferiore a quello stabilito nell’atto costitutivo per effetto di trasformazioni, fusioni e scissioni non può essere considerato periodo di non normale svolgimento dell’attività, ragione per cui occorre fare valere le normali cause di esclusione o di disapplicazione.

Per quanto riguarda, ad esempio, la causa di esclusione relativa al numero dei dipendenti, essa deve essere verificata non solo nel biennio anteriore, come afferma testualmente la norma, ma anche nel periodo d’imposta per cui si presenta la dichiarazione: ciò vale sia per le società non operative (circ. Agenzia Entrate n. 9 del 14 febbraio 2008), sia per le società in perdita sistematica (circ. CNDCEC n. 25/IR del 31 ottobre 2011). Il numero dei dipendenti superiore a 10 dovrebbe, quindi, sussistere in capo alla società incorporata anche relativamente al periodo d’imposta 2018, sino alla data di effetto della fusione.

Con riferimento alla posizione della società incorporante, come detto, andrebbero sommati i risultati (redditi e perdite) delle due società per i periodi d’imposta dal 2013 al 2017; se in uno di tali periodi d’imposta il risultato è positivo (e superiore al reddito minimo, anche questo da calcolare in via “aggregata”), l’incorporante non risulterebbe soggetta alla normativa sulle società in perdita. La causa di esclusione relativa al numero di dipendenti, se verificata in capo all’incorporata, a questo punto risulterebbe verificata anche in capo all’incorporante, che potrebbe quanto meno aggiungere i propri dipendenti a quelli dell’incorporata.

Per quanto riguarda la “valorizzazione” dei beni ai fini della determinazione sia dei ricavi minimi, sia del reddito minimo, vale il principio previsto dall’art. 30 comma 2 della L. 724/94, per cui essa avviene in base al costo fiscalmente riconosciuto determinato a norma dell’art. 110 comma 1 del TUIR, non comprensivo delle plusvalenze iscritte, e non al valore iscritto in bilancio. Per il periodo d’imposta 2018 i beni pervenuti dall’incorporata sono, quindi, valorizzati dall’incorporante al costo fiscalmente riconosciuto in capo all’incorporata, e non rileva in alcun modo l’eventuale maggior valore iscritto in bilancio per effetto dell’imputazione di disavanzi di fusione.

Sempre con riferimento alla posizione della società incorporante per il 2018, appare necessario ragguagliare il valore dei beni pervenuti dalla società incorporata in base al periodo di possesso (ai fini della determinazione dei ricavi minimi i suddetti beni rileveranno quindi per i soli giorni computati dal giorno in cui la fusione ha effetto ai fini fiscali al termine del periodo d’imposta e, visto che per il calcolo occorre avere riguardo alla media triennale, per zero relativamente al 2017 e al 2016).

Una soluzione diversa non risulterebbe razionale, in quanto tali beni generano ricavi minimi presunti sino al giorno di effetto della fusione in capo alla società incorporata, tenuta a compilare il prospetto per il suo ultimo periodo d’imposta. Analogo principio vale per il reddito minimo, con l’unica differenza che vengono considerati i dati relativi al solo 2018, e non ai due esercizi precedenti.

2019-07-31T07:44:41+00:00Luglio 29th, 2019|News|
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