Malgrado la presa di posizione dell’Agenzia, si tratta di atti molto spesso impositivi e non liquidatori

Di Giorgio INFRANCA e Pietro SEMERARO

La circolare n. 10 del 15 maggio 2019 contiene diverse indicazioni relative all’individuazione dell’oggetto delle liti definibili (oltre a chiarimenti su determinazione degli importi dovuti in specifiche fattispecie, sospensione delle controversie definibili, definizione delle liti relative a società e associazioni dilettantistiche).

Nell’individuare l’oggetto delle liti definibili, per la prima volta nella ormai lunga storia dei documenti di prassi inerenti alle procedure di condono fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha preso specificamente posizione anche con riferimento alle liti relative agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro dovuta per la registrazione degli atti giudiziari.

Nella risposta al § 1.1, alla domanda sull’eventuale definibilità delle liti in questione, l’Agenzia, in modo piuttosto laconico, ha affermato che “Le liti aventi ad oggetto avvisi di liquidazione relativi all’applicazione dell’imposta di registro agli atti giudiziari non sono definibili ai sensi dell’articolo 6, avendo essenzialmente una funzione di riscossione dell’imposta dovuta in relazione alla registrazione dei predetti atti”.
La conclusione cui giunge la circolare lascia piuttosto perplessi.

Gli atti giudiziari, di cui agli artt. 37 del DPR 131/1986 e 8 della Tariffa Parte Prima, sono soggetti a registrazione in termine fisso (con imposta fissa o proporzionale, a seconda dei casi) e la registrazione può essere richiesta anche direttamente da cancellieri e segretari.
Leggendo le parole dell’Agenzia parrebbe desumersi che la registrazione di tali atti giudiziari rappresenterebbe un procedimento del tutto automatico, privo di qualsivoglia discrezionalità o attività di carattere interpretativo.
Tuttavia, la realtà delle cose è ben diversa.

Come già rilevato su Eutekne.info (si veda “Definibili le liti relative agli avvisi di liquidazione sugli atti giudiziari” del 18 marzo 2019), la pratica ha evidenziato casi in cui la riscossione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari viene effettuata in modo tutt’altro che immediata, presupponendo attività interpretative per nulla banali.

È il caso, ad esempio, di un decreto ingiuntivo ottenuto a fronte del mancato pagamento delle somme dovute per la cessione delle quote sociali, tassato al 3% (art. 8 Tariffa Parte prima, lett. b) e ritenuto dal contribuente, invece, da assoggettare a imposta fissa, seguendo lo stesso trattamento dell’atto a cui si riferisce (art. 8, Tariffa Parte prima lett. a).
Ancora, si pensi al caso di una sentenza che dispone la risoluzione per inadempimento di un contratto, con condanna alla restituzione dei beni, tassata con aliquota proporzionale (art. 8 della Tariffa Parte prima, lett. b, riferita agli atti recanti condanna al pagamento di somme o valori) e non con imposta fissa (art. 8 Tariffa Parte prima, lett. e, relativa proprio al caso di nullità, annullamento o risoluzioni).

Pare assai arduo sostenere che simili atti impositivi, dal contenuto così specifico e complesso, possano considerarsi atti meramente liquidatori dell’imposta, privi di qualsiasi connotato interpretativo.
Alla luce di ciò, pare quindi che l’esclusione dalla definizione agevolata delle liti relative a simili atti sia difficilmente giustificabile e suscettibile di essere smentita in sede giurisdizionale.

Occorre ricordare, infatti, che il contenuto delle circolari non vincola né i contribuenti, né i giudici, con l’effetto che la risposta resa dall’Amministrazione non preclude ai contribuenti di presentare comunque istanza per la definizione agevolata e impugnare il successivo (a questo punto, piuttosto probabile) provvedimento di diniego.

Non va sottaciuto, infatti, che la Corte di Cassazione (Cass. n. 13137/2016), con riferimento alla precedente edizione della definizione agevolata di cui all’art. 39 del DL 98/2011, ha già affermato che gli avvisi di liquidazione in materia di atti giudiziari esprimono “un atteggiamento tipicamente impositivo” in quanto preordinato ad applicare “in esito ad una determinata valutazione giuridica” un regime impositivo piuttosto che un altro.
Valutazioni, quelle della Suprema Corte, che ben potrebbero essere spese in un eventuale giudizio avverso il diniego di definizione agevolata.