Ancora perplessità sul patteggiamento di reati tributari

Ricostruzioni differenti riguardano il reato di occultamento di documenti contabili

Di Maurizio MEOLI

In base all’art. 13-bis comma 2 del DLgs. 74/2000, per i reati tributari l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) può essere chiesta dalle parti solo quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché in esito a ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’art. 13 commi 1 e 2. Vale a dire quelle dei reati previsti dagli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater comma 1 del DLgs. 74/2000, per i quali l’integrale pagamento del dovuto, anche a seguito dei ricordati istituti, entro i termini ivi indicati esclude addirittura la punibilità (si tratta, nell’ordine, dei reati di infedele e omessa dichiarazione, omesso versamento di ritenute, omesso versamento IVA e indebita compensazione tramite crediti non spettanti).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, per questi reati tributari è possibile accedere al patteggiamento a prescindere dalla previa estinzione del debito tributario, dal momento che questa ne determinerebbe la non punibilità e il patteggiamento non potrebbe chiaramente riguardare reati non punibili (cfr. Cass. nn. 10800/2019, 38684/2018 e 55498/2018).

Una parte della dottrina, peraltro, ha sollevato qualche perplessità in ragione della non coincidenza strutturale tra i delitti di omessi versamenti e dichiarativi. Mentre, infatti, per i primi, estinguendosi il debito precedentemente all’apertura del dibattimento, il contribuente consegue la non punibilità e, quindi, non ha senso alcuno subordinare il patteggiamento alla medesima condizione, per i reati dichiarativi sono necessari adempimenti antecedenti all’apertura del dibattimento (la presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della successiva) ovvero peculiari condizioni (la mancata conoscenza dell’avvio di attività di controllo). Di conseguenza, l’imputato potrebbe estinguere il debito ma non ottenere la non punibilità perché, ad esempio, ha pagato successivamente alla conoscenza dell’attività di controllo ma prima del dibattimento. Per queste ragioni potrebbe ammettersi il patteggiamento solo a condizione del pagamento del debito, atteso che, a differenza degli omessi versamenti, tale adempimento non fa scattare automaticamente la non punibilità.

Sussistono, inoltre, fattispecie che, pur essendo connotate dal dolo di evasione, ovvero da quello di consentire a terzi l’evasione, non necessitano dell’accertamento della stessa. Ci si riferisce, in particolare, all’emissione di fatture false (art. 8 del DLgs. 74/2000) e all’occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 del DLgs. n. 74/2000). Rispetto a esse in dottrina è stato sottolineato come non si dovrebbe mai impedirne l’accesso al patteggiamento laddove non si provveda a pagare un debito tributario; ciò in quanto, da un lato, il debito tributario potrebbe anche non essere stato accertato e, dall’altro, perché il relativo pagamento dipenderebbe (nel caso di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000) dalla condotta di un soggetto estraneo (l’utilizzatore della fattura falsa).

Al riguardo, la Cassazione n. 10800/2019 ha stabilito che anche con riferimento al delitto di cui all’art. 10 del DLgs. n. 74/2000 è possibile l’accesso al patteggiamento in assenza delle condizioni di cui all’art. 13-bis del DLgs. 74/2000, ma ciò solo ove, come accadeva nella specie, non risulti che per l’occultamento o la distruzione dei documenti contabili oggetto di imputazione sia maturato un debito tributario o siano state inflitte sanzioni amministrative (da estinguersi prima di accedere al rito alternativo).
L’art. 10 del DLgs. 74/2000 – sottolinea la Suprema Corte – configura, infatti, un delitto che, a differenza degli altri reati previsti dal medesimo decreto, non è ancorato all’esistenza di un profitto o di un danno erariale quantificabili, né prevede un meccanismo automatico di irrogazione di una sanzione amministrativa; per cui, rispetto a tale fattispecie, il preventivo accertamento dell’estinzione integrale del debito o del ravvedimento operoso risulta inesigibile, a meno che non si verifichi che nei confronti dell’imputato, in relazione alla peculiare condotta illecita descritta dal predetto art. 10, sia eventualmente maturato uno specifico debito erariale che avrebbe potuto essere estinto dal contribuente con gli istituti previsti dal sistema tributario (circostanza non risultante nel caso di specie).

Una soluzione diversa è stata, peraltro, assunta dalla decisione n. 14600/2019, in cui la Suprema Corte ha stabilito che per il delitto di cui all’art. 10 DLgs. 74/2000 la possibilità di richiedere il patteggiamento è necessariamente subordinata, “laddove possibile”, al ravvedimento operoso (che, nel caso di specie, dovrebbe configurarsi nell’esibizione, sia pur tardiva, dei documenti contabili eventualmente occultati e, tuttavia, non distrutti) e, “in ogni caso”, all’integrale estinzione del debito per imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, compresi interessi e sanzioni amministrative, riferito alle annualità oggetto di accertamento e in relazione alle quali la condotta illecita è stata tenuta.

2019-04-12T07:35:58+00:00Aprile 12th, 2019|News|
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