Capital gain di fonte estera con imposta del 26%

L’imposizione sostitutiva preclude il recupero delle imposte estere, qualora prelevate in base alla Convenzione con l’altro Stato

Di Gianluca ODETTO

I soggetti residenti in Italia che detengono partecipazioni in società estere e, più in generale, attività di fonte estera da cui emergono redditi diversi di natura finanziaria sono tenuti ad effettuare alcune valutazioni in più rispetto al passato, derivanti dalle nuove modalità di tassazione delle plusvalenze realizzate vigenti dal 1° gennaio 2019.

Per le persone fisiche non imprenditori, infatti, a prescindere dalla natura qualificata o meno della partecipazione, la tassazione italiana avviene con imposta sostitutiva del 26%. Non vi sono, quindi, novità né per le plusvalenze derivanti della cessione di partecipazioni non qualificate, che già erano soggette a tale regime, né per i redditi che rientrano tra i capital gain non qualificati a norma dell’art. 67 comma 1 lettere da c-ter) a c-quinquies) del TUIR, quali ad esempio le plusvalenze derivanti dalla cessione di obbligazioni pubbliche e private e di titoli di Stato o da prelevamenti da conti in valuta.

La novità riguarda invece i titolari di partecipazioni qualificate, i cui redditi non concorrono più alla formazione del reddito complessivo (per il 2018, la percentuale era fissata nel 58,14%), ma scontano come detto il regime sostitutivo in misura pari al 26%.
Nella valutazione del regime fiscale non rileva in alcun modo la residenza della società, se la partecipazione – di qualunque entità – è quotata nei mercati regolamentati. Al contrario, per le partecipazioni non quotate la tassazione nella misura del 26% è condizionata alla residenza della società in uno Stato o territorio che non risulti a regime fiscale privilegiato a norma del nuovo art. 47-bis del TUIR.

La norma qualifica come privilegiati i regimi delle società che scontano nel proprio Stato di residenza:
– una tassazione effettiva inferiore al 50% di quella italiana, se la partecipazione è di controllo;
– una tassazione nominale inferiore al 50% di quella italiana, se la partecipazione non è di controllo.
Questo test non è, tuttavia, necessario per le partecipazioni in società comunitarie, le quali per espressa disposizione di legge non sono mai considerate a questi fini a regime privilegiato.

Ove la partecipata si qualifichi come società a regime fiscale privilegiato, le plusvalenze sono assoggettate alle aliquote progressive IRPEF per il 100% del loro ammontare, con riconoscimento altrettanto integrale delle imposte estere pagate (presumibilmente in misura poco rilevante).
Concentrandosi sul caso in cui le plusvalenze sono soggette all’imposizione sostitutiva del 26%, risulta di particolare importanza valutare l’eventuale tassazione scontata nello Stato estero a titolo di imposte sui redditi.

Nella maggior parte dei casi, infatti, i capital gain di fonte estera non sono imponibili nell’altro Stato in capo ai soggetti residenti in Italia o perché la normativa nazionale esenta dalle imposte sulle plusvalenze i non residenti (è quello che fa, a parti invertite, l’Italia per i soggetti residenti all’estero, seppure con alcune eccezioni), o perché le Convenzioni contro le doppie imposizioni prevedono la tassazione esclusiva dei proventi nello Stato di residenza del percipiente.

Per i dossier titoli risulta quindi essenziale valutare se la persona abbia consegnato all’intermediario estero la documentazione atta a certificare la residenza fiscale italiana (e, quindi, lo status di non residente), di modo che l’imposta estera non venga prelevata, o in base alla normativa interna o in base alla Convenzione (normalmente, la documentazione da presentare è diversa nei due casi).
Se questo non avviene e l’imposta estera viene addebitata, essa non può comunque essere detratta da quella italiana, in quanto prelevata in assenza dei presupposti, e deve essere richiesta a rimborso all’Amministrazione dell’altro Stato.

In termini più generali, tuttavia, con l’imposizione sostitutiva del 26% viene meno alla radice la possibilità di detrarre l’imposta estera da quella italiana a norma dell’art. 165 del TUIR, non concorrendo più la plusvalenza alla formazione del reddito complessivo della persona.

Il problema è particolarmente serio nel momento in cui la Convenzione con l’altro Stato assegni a quest’ultimo il potere di tassare la plusvalenza (ad esempio la Convenzione Italia-Francia, per le partecipazioni almeno pari al 25%) e, quindi, l’imposta assolta nell’altro Stato, in quanto prelevata in ossequio ai presupposti di legge, non possa essere richiesta a rimborso all’Amministrazione di quest’ultimo. In queste situazioni, l’imposta estera si somma a quella italiana, non potendo in alcun modo essere detratta da quest’ultima, andando così a gravare il reddito di oneri fiscali estremamente elevati.

2019-02-11T08:55:58+00:00Febbraio 11th, 2019|News|
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